La battaglia per Hong Kong

La prima vera battaglia combattuta tra giapponesi e Alleati è proprio quella per la piccola Hong Kong.

 

 

Passata sotto dominio britannico grazie alle Guerre dell’Oppio di un secolo prima, Hong Kong rappresenta nel 1941 un minuscolo avamposto isolato. Minacciata sempre di più dai giapponesi, nei primi mesi di questo fatidico anno, la Corona inglese invia un reparto di circa 2000 canadesi a rinforzo della già ridotta guarnigione composta perlopiù da volontari autoctoni e piccoli reparti indiani e britannici. Il supporto aereo era pressoché inesistente, così come quello marittimo, in quanto tutte le navi del porto di Hong Kong avevano ricevuto l’ordine preventivo di raggiungere Singapore, evitando così un’eventuale catastrofe in caso di attacco nemico. 

L’offensiva giapponese si scatena praticamente in concomitanza con quella di Pearl Harbor; gli eventi però, per una sola differenza di fuso orario, sul calendario appaiono come separati da un giorno. Alle prime ore del mattino, i genieri britannici, dopo aver ascoltato su Radio Tokyo le iniziali dichiarazioni di guerra, fanno saltare tutti i ponti di collegamento sul Sham Chum, confine naturale tra i possedimenti cinesi occupati e il dominio britannico. Poco meno di un’ora dopo, reparti giapponesi appartenenti al 228°, 229° e 230° Reggimento, che insieme compongono la 38° Divisione Fanteria, si impegnano nell’attraversamento del fiume dando inizio all’invasione terrestre di Hong Kong. Partecipano all’azione anche gli squadroni aerei giapponesi che nelle prime ore dell’8 Dicembre bombardano violentemente l’aeroporto di Kai Tak, ribadendo una schiacciante superiorità aerea.

 

 

Entro sera, i giapponesi riescono a far arretrare le forze britanniche fino alla linea “Gin Drinkers”, principale linea difensiva di Hong Kong. Costruita a partire dal 1936, viene presentata al mondo come una piccola Linea Maginot asiatica in grado di contenere un eventuale attacco giapponese per almeno quattro – se non sei – mesi, dato l’intricato sistema di piccole fortificazioni e bunker sulle montagne della penisola di Kowloon, poco a nord della vera città di Hong Kong. Quando però il reale attacco giapponese si concretizza, a difendere la “Gin Drinkers” ci sono solamente tre battaglioni, uno scozzese e due indiani, con il compito di resistere a oltranza, almeno per un paio di settimane così da evacuare più uomini e mezzi possibili. La notte tra il 9 e il 10 Dicembre, un commando giapponese composto da una dozzina di uomini, penetra nel settore di Shing Mun Redoubt approfittando del buio e della scarsa difesa dell’area. Dopo aver colto di sorpresa i pochi uomini della già ridotta guarnigione (circa trenta soldati per una postazione difensiva che ne poteva accogliere almeno un centinaio) e occupato le postazioni difensive, segnalano la breccia al resto delle formazioni giapponesi. I comandanti rimangono colpiti da questa impresa, in quanto si aspettavano di impiegare almeno un mese per sfondare la linea nemica. 

L’assalto generale viene ordinato dunque per la giornata del 10 Dicembre, su due direttrici di sfondamento. Entro sera, i giapponesi oltrepassano la linea in almeno due punti e al comandante Christopher Maltby non rimane altro da fare che ordinare la ritirata di tutte le truppe sull’isola di Hong Kong, abbandonando tutti i territori continentali. Il ritiro delle truppe si conclude solamente il 13 Dicembre, coperto dal battaglione indiano Rajput, che ripiega per ultimo proprio quel giorno. I giapponesi inviano subito una delegazione sull’isola, chiedendone l’immediata resa, che però viene immediatamente rifiutata. Maltby spera infatti di riuscire a tenere l’isola e di infliggere danni consistenti al nemico. Dal 14 al 17 Dicembre, è solamente l’artiglieria giapponese a martellare incessantemente nel tentativo di scoraggiare i difensori. Quando poi anche la successiva richiesta di resa viene rifiutata, appare chiaro che l’isola di Hong Kong deve essere conquistata con le armi e la fanteria.

La sera del 18 Dicembre, sei battaglioni giapponesi riescono a sbarcare in diversi punti sulle spiagge dell’isola, coperti dal fuoco dell’artiglieria. Nonostante un iniziale successo dei difensori, che riescono a contenere gli aggressori nelle loro posizioni di sbarco, i giapponesi iniziano a farsi strada verso l’interno dell’isola, aiutati anche da alcuni errori nella catena di comando e nelle decisioni prese da Maltby e dai suoi sottoposti nelle prime ore di confusione generale. 

 

 

Il 19 Dicembre arriva una prima vera svolta: il Wong Nai Chung, stretto passo che divide l’isola in due parti, viene investito dalla fanteria giapponese che inizia a dare violenta battaglia ai difensori canadesi che lo presidiavano. I difensori, nonostante la disparità numerica a loro sfavorevole, si sacrificano quasi fino all’ultimo uomo, non riuscendo però ad impedirne il controllo giapponese. Hong Kong, dalla mattina del 20 Dicembre, si ritrova tagliata in due; da entrambi i lati le forze britanniche si ritrovano isolate sui due versanti e senza possibilità di ricongiungersi. 

I giapponesi sorprendono per la velocità delle manovre, tanto che iniziano a catturare diversi punti difensivi e batterie nemiche prima che i britannici siano in grado di coordinare una vera ed efficace lotta. Si intravedono in questi giorni anche i primi macabri episodi: i prigionieri caduti in mano nipponica vengono sommariamente giustiziati in vari punti dell’isola, alcune volte a colpi d’arma da fuoco, altre volte direttamente decapitati. La difesa si fa sempre più disperata e i punti in cui battersi si riducono all’avanzare dei giapponesi nell’isola. Il 24 Dicembre le rimanenti forze britanniche si riparano dietro la linea difensiva di Stanley ma l’attacco notturno giapponese spezza anche quest’ultima linea, infliggendo molte perdite. Nella notte i nipponici entrano nell’ospedale di St. Stephen e uccidono a sangue freddo decine di soldati feriti, dottori ed infermiere.

 

 

Arriviamo dunque al 25 Dicembre, giorno di Natale, che vede il governatore Young e il comandante Maltby chiedere la resa incondizionata dell’isola. Ogni tentativo di resistere appare ormai inutile. L’isola è caduta in mano nemica, la prima colonia britannica in Asia e insieme a lei circa diecimila uomini che passeranno anni difficilissimi nei famigerati campi di prigionia giapponesi. Migliaia di civili di Hong Kong verranno seviziati, uccisi e stuprati dalle forze di occupazione nei tre anni e mezzo successivi.

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