Attu e Kiska, occupate dalle forze imperiali giapponesi nel 1942, rappresentano gli unici territori statunitensi caduti in mano nemica per tutta la Seconda Guerra Mondiale.
Lo stato di belligeranza tra Stati Uniti e Giappone, in vigore dal fatidico Dicembre 1941, apre l’intero oceano Pacifico a incursioni reciproche. I nipponici, sapendo di essere entrati in guerra con un nemico mortale e di essere in possesso di risorse molto più limitate, cercano quasi da subito di consolidare le proprie posizioni. L’arcipelago delle Isole Aleutine, facente parte oggi dell’Alaska e composto da numerosissime isolette che si estendono quasi a voler raggiungere il continente asiatico, rappresentano uno degli obiettivi strategici per le forze nipponiche. Controllare quelle isole quasi disabitate, così vicine alle coste degli Stati Uniti continentali, avrebbe rappresentato sicuramente una spina nel fianco per il nemico, sempre soggetto ad incursioni e attacchi sulle rotte logistiche marittime verso i teatri operativi del Sud-Est asiatico.
I Giapponesi decidono di approfittare della presenza quasi inesistente di difese nella zona, attaccando dal cielo dapprima Dutch Harbour, piccolo porto e base operativa della marina militare statunitense. Tra il 3 e il 4 Giugno 1942, le incursioni dei piloti giapponesi producono moderati danni al porto e ai depositi presenti sull’isola, prima di venire intercettati e allontanati dall’aviazione americana intervenuta in soccorso. Ha ufficialmente inizio la campagna per l’arcipelago delle Aleutine.
Quasi in concomitanza con le incursioni su Dutch Harbour, truppe di terra trasportate dalla Flotta del Pacifico Settentrionale giapponese mettono piede sull’isola di Kiska il 6 Giugno e su quella di Attu il giorno successivo senza incontrare quasi alcuna resistenza. La popolazione, composta da poche decine di nativi aleutini, preferisce evitare qualsiasi forma di resistenza pur di conservare una parvenza di normalità in quelle terre sperdute (verranno tuttavia deportati nei mesi a venire). La società civile statunitense accoglie la notizia dell’occupazione con estremo disagio, sorpresa e intimorita della vicinanza dei giapponesi, e a gran ragione: dal 1815 nessuna forza nemica era mai riuscita ad occupare in maniera ufficiale il suolo statunitense. Si teme il tentativo di occupare le principali isole dell’arcipelago e l’uso che i giapponesi potrebbero farne dopo averle trasformate in basi per incursioni navali e aeree.
Il responso delle forze statunitensi non si fa attendere troppo. Già due mesi dopo riescono a stabilire una base aerea sull’Isola di Adak dalla quale riescono ad importunare le forze d’occupazione con numerose sortite. Al largo invece, la marina militare statunitense prende sempre più coraggio, attaccando numerose navi di superficie, obbligando così i nipponici a cessare il rifornimento della guarnigione aleutina se non attraverso l’impiego dei sottomarini.
L’11 Maggio del 1943 viene attivata l’Operazione Landcrab al fine di riprendere il possesso dell’isola di Attu. Forze della 7° Divisione statunitense vengono impegnate in uno sbarco anfibio e lanciate contro i circa 3000 difensori nipponici. Le temperature artiche e la natura del terreno giocano a sfavore dei liberatori che riportano numeri allarmanti di casi di arti congelati e morti per il freddo. La strenua difesa giapponese contribuisce inoltre a rendere questa campagna militare molto costosa dal punto di vista umano. Sul finire del mese di Maggio, data l’impossibilità di resistere ulteriormente, si verifica una delle più grandi cariche a baionetta di tutto il conflitto mondiale, le famose “cariche Banzai”. I disperati giapponesi riescono a sfondare le linee nemiche raggiungendo e sorprendendo le unità delle retrovie, quasi in prossimità delle spiagge. La battaglia, spesso corpo a corpo, sancisce però la fine delle grandi operazioni ad Attu. I giapponesi vengono sterminati in questa ultima gloriosa azione, e solo 28 di loro vengono catturati vivi. Il 30 Maggio 1943 l’isola può già considerarsi liberata ma a grandi costi: il 25% delle truppe sbarcate sull’isola o sono morte o risultano tra i feriti e i congelati. I giapponesi perdono praticamente tutta la guarnigione.
Mentre un’ingente forza statunitense si prepara per le operazioni sull’Isola di Kiska, questa volta con un impiego molto più grande di uomini e mezzi, i giapponesi evacuano in gran segreto l’isola, coscienti dell’inutilità di una resistenza dagli esiti praticamente certi dopo l’esperienza di Attu. Il 15 Agosto, 35 mila soldati sbarcano su Kiska solamente per trovarla completamente abbandonata. Non mancano tuttavia i morti e i feriti. Le trappole giapponesi lasciate come ultimo crudele regalo riescono a prendersi più di una vita, così come il fuoco amico se ne porta via altre, data la fitta nebbia che manda in confusione i soldati che avanzano. Kiska, così come Attu due mesi prima, torna in pieno possesso delle forze Alleate. Nessun giapponese in armi metterà più piede sul suolo statunitense.