La criticità del bacino idrografico del Po sta diventando una costante delle estati italiane degli ultimi anni; è inutile negarlo guardando erroneamente al passato.
La siccità del Po è un elemento che ciclicamente è in grado di sollevare accesi dibattiti all’interno dell’opinione pubblica italiana, e spesso nei salotti televisivi o negli spazi giornalistici si tratta l’argomento in maniera superficiale e parziale, o comunque in maniera tale da considerare solo l’ottica in grado di avvalorare le proprie tesi, siano esse più o meno allarmiste; la verità però non è mai nascosta sotto l’approssimazione, ma sotto una montagna di dati e considerazioni.
Analizzando i dati forniti dall’ISTAT sulla quantità di pioggia caduta nel 2020 in Emilia Romagna appare incontrovertibile la carenza di pioggia rispetto alla media degli anni precedenti (1971-2000). Il dato medio per le province dell’Emilia Romagna, infatti, è di meno 95mm di pioggia rispetto agli anni precedenti, vale a dire che mediamente sono caduti 95 liti di acqua in meno per metro quadro rispetto alle attese.
Un altro dato che ci può, e ci deve, aiutare nella costruzione delle nostre considerazioni è il dato sulle temperature medie massime e minime registrate nel 2020 in Emilia Romagna: rispetto al periodo di riferimento 1971-2000 la regione ha visto aumentare le proprie temperature minime e massime mediamente di 2°, arrivando fino ai 4° della provincia di Piacenza, cuore pulsante della filiera agroalimentare emiliana.
Le correnti di pensiero meno allarmiste affermano che tali livelli di siccità nel grande fiume italiano vennero raggiunti anche negli anni 50 del Novecento, un’epoca priva dei livelli di inquinamento attuali data la mancanza di un sistema economico commerciale globalizzato come quello odierno, motore perpetuo di un fittissimo, e a tratti insostenibile, sistema fatto di trasporti, consumi e scarti.
Effettivamente fra gli anni ’40 e gli anni ’50 la portata del Po scese da circa 1600 metri cubi di acqua al secondo ad appena 950 metri cubi; anche in quell’occasione la causa fu la scarsità di precipitazioni sulla nostra penisola.
Eventi simili però non sempre hanno in comune la medesima causa. Nel periodo di siccità occorso fra gli anni ’40 e ’50 la motivazione che portò ad una forte diminuzione delle precipitazioni può essere rintracciata grazie allo studio delle dinamiche dell’atmosfera relative ai cosiddetti anticicloni stazionari di blocco, ovvero una formazione stagionale anomala di altra pressione che fa da scudo alle basse pressioni atlantiche responsabili delle perturbazioni autunnali ed invernali; nel caso dell’Italia è l’anticiclone delle Azzorre a deviare le aree di bassa pressione verso la Gran Bretagna e la Scandinavia.
Dunque in quegli anni è ipotizzabile pensare che una formazione anticiclonica di blocco abbia causato una parziale deviazione delle perturbazioni stagionali verso latitudini più alte, causando così fenomeni di siccità transitoria nei paesi alle medie latitudini come il nostro.
Purtroppo la differenza sostanziale con la situazione che tutti noi stiamo vivendo oggi risiede nella costanza che questi fenomeni stanno acquisendo da circa un ventennio a questa parte, e il Po, con le sue ormai costanti variazioni negative di portata e di fondale, ne è un esempio lampante.
La temperatura media globale è aumentata di un 1° e questo ha portato a delle conseguenze meteorologiche che hanno generato una concatenazione di cause ed effetti il cui risultato è la situazione climatica che stiamo vivendo: l’aumento della temperatura ha portato ad un aumento della temperatura dell’acqua dei mari, che a sua volta evapora maggiormente incrementando la quantità di vapore acqueo nell’aria che, essendo più calda, ne può incamerare di più.
Tutto questo vapore acqueo, tutta questa energia incamerata, nel momento in cui incontra aree di bassa pressione si riversa al suolo con incredibile violenza e repentinità e, a causa dell’eccessivo aumento di temperatura, aumenta anche le velocità con la quale evapora dal suolo, non permettendo dunque al terreno un’ottimale assorbimento delle precipitazioni.
L’aumento di temperatura e la scarsità di perturbazioni invernali portano inoltre ad una diminuzione delle nevicate in alta montagna e di conseguenza ad una diminuzione dell’apporto di acqua ai fiumi a valle, come avviene per il Po e le Alpi, da sempre foraggiatrici idriche del grande fiume padano.
La situazione del Po e, per estensione, di molti altri corsi d’acqua italiani è aggravata poi dalla mostruosa mole di terreni agricoli e allevamenti intensivi che il fiume deve servire con le proprie acque, sopratutto in una regione come l’Emilia Romagna che da sola copre il 30% della produzione agricola nazionale, e ospita numerose industrie dedite all’allevamento e alla macellazione delle carni, un comprato fortemente dedito all’uso dell’acqua vista la quantità necessaria per produrre un singolo kg di carne.
L’avanzata del cuneo salino, ovvero l’avanzata dell’acqua di mare all’interno della foce del fiume a causa della scarsa portata di quest’ultimo, e la scarsità d’acqua da destinare all’agricoltura e all’allevamento, unite alla crisi energetica e a quella del grano, stanno gettando nello sconforto migliaia di persone comuni e di lavoratori del settore, impauriti dalla più che ipotizzabile crisi agroalimentare che questa situazione può far deflagrare. La paura però, passato il momento drammatico, dovrà lasciare il posto alla volontà di azione e alla capacità di agire, altrimenti fra un anno torneremo ad annaspare in un rivolo di paure.
Tutti noi dovremmo modificare i nostri stili di vita, troppi incentrati sulla possibilità di consumare tutto e subito e privi di un’educazione dello spreco, ma le grandi industrie, e le associazioni che le rappresentano, devono capire che loro per prime devono cambiare i loro usi del terreno e delle risorse che esso ci offre; la sostenibilità futura non può valere il profitto presente in quanto il profitto è un margine di miglioramento per una persona o per un ristretto gruppo, mentre la sostenibilità è un guadagno collettivo in grado di accrescersi nel tempo, se supportato a dovere.
La svolta è una strada tortuosa che tuttavia, prima o poi, dovremmo avere il coraggio di intraprendere, o questa sarà solo l’ennesima “estate più calda della storia italiana” in attesa della prossima.