Matrix Revolutions: la recensione

Matrix Revolutions delude tanto quanto Matrix Reloaded: una trama debole, personaggi poco convincenti e cliché rendono le ultime ore della saga una disastrosa esperienza.

 

 

Articolo pubblicato per la prima volta il 30/12/2003

 

Perché pensare ad una trilogia quando non si hanno idee per svilupparla? Perché buttare nel calderone religioni new wave, Bruce Lee e belle tette? Semplicemente perché il merchandising è una fonte di guadagno inimmaginabile e i dollaroni piacciono a tutti. O almeno piacciono ai fratelli Wachowski. I due ragazzotti americani, che avevano partorito il primo ed inimitabile Matrix, hanno ideato, girato e propinato circa sei ore di merda. Non c’è altro termine che meglio riassuma la qualità dei due seguiti Matrix Reloaded e Matrix Revolutions.

Il cast base è più o meno lo stesso del primo episodio: Keanu Reeves nei panni dell’efebo Neo, Laurence Fishburne in quelli butterati di Morpheus e Carrie-Ann Moss in quelli fetish di Trinity. Un sentore del livello del film, però, si avverte già nelle new-entries: Monica Bellucci e Jada Pinkett Smith. La prima impersona Persephone che, nonostante gli squilli di tromba della stampa italiana, in realtà compare per circa tre minuti sommando le due pellicole; la fantastica attrice nostrana riesce ugualmente a dimostrare quanto è cagna a recitare. La seconda si chiama Smith perché è il cognome di suo marito Will, l’energumeno di colore che prende a cazzotti un alieno in Indipendence Day. Pooooco raccomandata!

Matrix Revolutions ha una trama inesistente. Riassumendola, si arricchisce: mentre Trinity veglia Neo ancora comatoso, l’esercito di Zion sta lottando per rallentare la marcia delle sentinelle robot (le più espressive tra gli attori). Nel frattempo l’agente Smith, Ugo Weaving, sbrocca e diventa un virus potentissimo in grado di conquistare la Matrice e, forse, anche quel bastardo di Bill Gates. Con l’aiuto della polposa Niobe, Trinity decide che al risveglio di Neo devono puntare dritti alla Città delle Macchine.

 

 

Nel film troneggiano due temi chiave: la religione e la guerra. La prima è infilata qua e là, nella trama, come la maionese sugli spaghetti. Per esempio, dopo cinque minuti, si apre una parentesi in cui Reeves parla con una famiglia indiana, stile Hollywood Party, di Karma e contro-Karma. L’allegra combriccola, poi, scompare per sempre e non si vede più. Qualcuno può spiegarmi perché non tagliare con i forbicioni Abù e la sua prole?

Il tema della guerra, invece, è affrontato con tutti i cliché del cinema. C’è il vecchio Maggiore burbero che però ha il cuore tenero e si sacrifica per i suoi ragazzi. C’è il deficiente di turno che si trova ad essere un eroe per caso, spalancando le porte ai protagonisti veri. E c’è anche la donna tutta muscoli e mascelle che dagli anni ottanta ci propinano in ogni filmetto d’azione, per dimostrare che ormai l’universo femminile non è fragile. Ovviamente ogni scena di combattimento dura il doppio di quanto un essere umano molto paziente può tollerare.

Il finale, poi, è il cuore di Matrix Revolutions. Non risolve nulla. Non una delle 6 mila domande che si aprono durante gli altri due episodi è evasa. Neo è “l’Eletto” e quindi l’impossibile è possibile; io però sono “l’Incazzato” perché è impossibile prendermi per il culo così. Di Matrix Reloaded e di Matrix Revolutions si poteva fare un solo film di due ore che sarebbe, comunque, stato molto brutto ma mi avrebbe fatto risparmiare i 7 euro del secondo biglietto.

 

Matrix Revolutions, 2023
Voto: 4
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