A distanza di oltre venti anni, Trainspotting e’ ancora un film da vedere.
Trainspotting e’ stato un film che ha legato tre generazioni fortemente coinvolte del dramma dell’uso di droghe, una di quelle piaghe che ha colpito il mondo occidentale a cavallo tra gli anni ’70 e la fine degli anni ’90, quando l’eroina ha mietuto vittime su vittime e causato non pochi problemi sociali.
Il regista Danny Boyle (The Beach, 28 Giorni Dopo) tagliuzza e rivede il buon romanzo di Irvine Welsh (che comunque merita di essere letto), realizzando un film pazzesco per ritmi, temi e modo di raccontare la storia, che vuole raccontare la vita di un giovane tossicodipendente di Edimburgo e dei suoi amici, tutti sbandati e senza un futuro sulle loro strade.
Il film e’ costruito su di una serie di episodi legati fra loro solo in base alla sequenza logica ed all’evoluzione della loro situazione, ma non c’e’ una classica “storia”: il film non segue i canoni tradizionali, e questa scelta si rivela ottima. Oltre a permettere infatti di concentrarsi sui momenti topici e di mantenere alta l’attenzione, fornisce un senso di mancanza di stabilita’ e spaesa lo spettatore, quasi fossimo constantemente fatti e ogni tanto ci risvegliassimo capendo di trovarci altrove, in un altro momento.
Le riprese fanno ampio uso di tecniche che raramente si vedono impiegate in modo massiccio (fermo immagine, distorsioni, filtri, cambi repentini da panoramiche a primi piani) e i risultati sono ottimi: chi guarda e’ catturato dal sapiente e frequente cambio di ritmo e di stile, ed i pochi effetti speciali sono magnificamente inseriti a tratteggiare un mondo di follia, cruda e selvaggia umanita’, ma anche amicizia e ilarita’.
Non cito il concetto di amicizia a caso: nonostante il gruppo sia tenuto insieme piu’ per consuetudine e per convenienza, e non mancano tradimenti alla Giuda, esiste sempre una sottile linea di sottofondo ad unire i ragazzi, in un modo tutto loro di essere amici e leali fra loro. Probabilmente anche questo, come la maggior parte del materiale raccontato da Irvine Welsh, viene dal vero mondo della tossicodipendenza britannica; probabilmente non molto diverso dal nostro.
A fare da sottofondo a questa storia, Danny Boyle utilizza una colonna sonora pazzesca: Blur, Elastica, Brian Eno, New Order, Lou Reed e Iggy Pop, il cui brano Lust for Life e’ diventato l’icona inequivocabilmente legata a questo film.
Trainspotting e’ stato il film che ha lanciato ed al tempo stesso consacrato Ewan McGregor, volto notissimo della cinematografia internazionale (Grazie Signora Thatcher, Star Wars episodi I-II-III, Black Hawk Down, L’Uomo che Fissa le Capre). In Trainspotting la sua interpretazione e’ eccezionale, e nonostante interpreti il ruolo di un ragazzo non certo per bene, non si riesce a non parteggiare per lui. Al suo fianco troviamo attori con le palle, qualcuno piu’ noto come Robert Carlyle (Riff Raff, Full Monthy, The Beach, Jimmy Grimble) o Ewen Bremmer (Snatch, Black Hawk Down, Alien vs. Predator) e altri che con parti minori hanno comunque ricoperto un ruolo solido nella cinematografia britannica.
Trainspotting fa parte di un modo di fare cinematografia sperimentale e molto vivace che oggi purtroppo e’ andato perduto, soppiantato da produzioni fondamentalmente lineari e appiattite su canoni tradizionali anche nelle produzioni indipendenza. Non posso non associarlo a due film usciti in quegli anni: Lola Corre e Paura e Delirio a Las Vegas, pellicole a loro volta pietre miliari di genere.
In una societa’ come la nostra, dove “farsi una canna” e’ diventato normale e chi tira di cocaina e’ una larga fetta della popolazione, Trainspotting ci ricorda cosa sia la droga, e di quanto sia sbagliato sdoganarla come fosse un fatto di costume. Senza voler prendere le parti o far la morale, mostra senza mezzi termini e senza censure, anche usando immagini forti al limite della nausea, la realta’ del mondo della droga, che oggi sembra piu’ pulito solo perche’ non si usano piu’ le siringhe ed a drogarsi e’ molta piu’ gente.