The Hateful Eight porta sempre chiara la firma del suo creatore, e non è un western “normale”, ma stavolta manca la genialità che ha reso grandi altre pellicole di Tarantino.
Come per molti altri film (un caso recente è Episodio VII di Star Wars), The Hateful Eight è sicuramente uno di quelli per cui le aspettative erano enormi. In questi casi, come ben sappiamo, la probabilità di restare delusi è sempre molto alta, e purtroppo stavolta si è palesata pienamente. Sono infatti diverse le caratteristiche che rendono insoddisfacente il tanto atteso “ottavo film di Quentin Tarantino”, come è stato evocativamente annunciato nei trailer. Vediamo quali sono queste pecche.
Intanto manca il personaggio geniale, elemento che invece di solito ci aspettiamo dal regista americano. Qui non abbiamo nessun Hans Landa e nessun King Schultz a garantire al film quel “sale” in più che spesso fa la differenza. Forse solo il Maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson) è degno di nota, ma gli altri sono tutti abbastanza stereotipati, perfino il personaggio di Kurt Russel.
C’è poi una prima parte introduttiva e di presentazione dei protagonisti eccessivamente lunga e lenta. Intendiamoci, è assolutamente necessaria, ma in questo caso la presenza di qualche buon dialogo non è sufficiente a garantire quella brillantezza che mantiene vivo l’interesse dello spettatore.
A questi difetti, se vogliamo minori, si aggiunge però quello principale: una storia che, nel suo dispiegarsi, si rivela alla fine piuttosto banale. E questo è il vero punto debole di The Hateful Eight. Resti lì in perenne attesa della svolta decisiva, del colpo di scena che ti esalti, che ti stupisca e arrivi a conferma della fama che il regista si è costruito negli anni… ma niente. Sì, forse due o tre momenti ti fanno trasalire per un attimo, ma nulla di davvero entusiasmante che possa far pendere il giudizio finale verso una convinta approvazione.
Prosegue poi la fissa di Tarantino per uno stile eccessivamente “splatter”, che a mio parere stona in generale, ma che trova ancor meno senso in un western. Ne avevamo già avuto un assaggio in Django Unchained, ma qui è ancora più marcato e fastidioso.
Altro espediente decisamente inflazionato in The Hateful Eight è quello del “flashback”. Spesso questa tecnica, se dosata con cura, sortisce un buon effetto ed è utile ad aggiungere un po’ di pathos alla trama, ma quando si esagera, come in questo caso, il risultato è solo quello di creare confusione o quantomeno di mettere un po’ troppo alla prova l’attenzione dello spettatore nel seguire il filo della storia. Ma questo forse è un aspetto un po’ più soggettivo.
In conclusione, non credo che The Hateful Eight verrà ricordato come uno dei successi di Tarantino (a livello qualitativo intendo, il box office è un’altra cosa), appesantito da troppo sangue e per niente sostenuto da una trama avvincente. Alcuni dialoghi interessanti, come già detto, non bastano per alzare questo film al livello del suo regista. C’è forse da temere che possa diventare un problema per le future produzioni di Tarantino? Speriamo di no, ovviamente, ma questo resterà di sicuro un episodio opaco nel suo percorso finora brillante.