The Office: la recensione

The Office è una sitcom statunitense del 2005 che grazie all’incredibile Steve Carell ha saputo catturare milioni di spettatori in tutto il mondo.

 

 

Nel 2001 viene trasmessa sulle reti britanniche una serie TV ideata da uno dei più noti comici stand-up di sempre, Ricky Gervais: stiamo parlando di The Office. Visto l’enorme successo della serie pochi anni dopo, nel 2005, viene riadattata in America, anche stavolta con un volto molto noto nell’ambiente comico, soprattutto oltre oceano: Steve Carell (attore di cui tra l’altro si è già trattato nella recensione di Space Force).
Ma di che tratta The Office?

 

 

Anche senza volerlo o saperlo sicuramente siete già incappati in The Office prima d’ora: se possedete un minimo di cultura web avrete visto delle clip come questa o tante altre diventate meme.
In ogni caso The Office non è che una sitcom sui generis, si può dire sia stata fondatrice di un nuovo genere che in lingua d’Albione prende il nome di “cringe comedy” (“cringe” sta per imbarazzo, per i pochi rimasti che non siano ancora a conoscenza del termine, per fortuna). L’intera serie è inoltre girata nello stile di un finto documentario (ovvero mockumentary). I nostri occhi sono infatti guidati da una finta troupe televisiva che misteriosamente segue giorno per giorno, puntata per puntata, le vicende d’ufficio con tanto di interviste di intermezzo.

 

 

Ma come può essere che tanto interesse e intrattenimento giri attorno ad un luogo triste per antonomasia, soprattutto in questo caso, visto che l’ufficio in questione non è che quello di una filiale vendite di una sconosciuta azienda distributrice di carta per uffici? Soggetto ed animatore delle puntate è lo stesso direttore della filiale, interpretato dal sopra citato Steve Carell: demenziale, sopra le righe, stupido e perennemente fuori luogo, ma capace di animare e dar senso al tutto generando situazioni comiche esilaranti, ma soprattutto, sempre imbarazzanti. Sono veramente poche, se non totalmente assenti, le occasioni in cui l’atteggiamento insolito di Steve Carell riesca ad essere appropriato.
Ma non c’è solo il direttore: il resto dell’ufficio è composto da personaggi spesso caricaturali, altri meno, ma in ogni caso ben collocati e non solo in grado di far da spalla, ma anche di reggere a loro volta delle loro linee comiche. In poche parole è impossibile non affezzionarsi ad ognuno di loro.

 

 

Il ritmo delle puntate è molto più lento nelle prime stagioni, ma ciò non è problema, perché è proprio quando meno ce l’aspettiamo, quando cala la nostra attenzione, che la serie colpisce con un’esplosione di comicità imprevista, lasciandoci piegati dal ridere come degli scemi. Mi sono trovato spessissimo a ridere di gusto senza più respiro da solo, cosa che non mi capita spesso se non ho quella compagnia che mi aiuti.
Manca, per fortuna, quel senso di claustrofobia e di oppressione che generalmente mi danno un po’ tutte le sitcom – tutte, compreso i classici come Friends, Scrubs ecc. Per quanto tutto ruoti attorno all’ufficio non mancano frequenti scene in esterni, auto o altri ambienti, riuscendo a far respirare lo spettatore e a variare un po’.

 

 

Si può dire che quella che è la forza della serie ne è anche il punto debole più forte: tutta la serie si regge sul personaggio di Carell che può venire a noia dopo qualche stagione. Per quanto anch’io sia riuscito a divertirmi sempre, ammetto che ad un certo punto azioni e reazioni del direttore iniziano a diventare prevedibili perdendo di quella naturalezza così necessaria. La serie inoltre conta la bellezza di ben NOVE stagioni per un totale di 201 puntate, certo, della durata da sitcom quindi sui 20-30 minuti, ma si tratta veramente di numeri alti. Avendo così tante puntate, non è solo la noia uno dei problemi che possono, ma non necessariamente, minare la visione: certi inspiegabili cambi di carattere di alcuni personaggi, la tendenza ad alzare sempre di più il tiro delle battute e delle situazioni fino a sfociare nell’assurdo e in generale tutto ciò che faccia venir meno l’illusione da parte dello spettatore. La serie fa ridere perché in un contesto reale viene collocato un elemento totalmente fuori posto, se questo contrasto viene a mancare si perde la forza della battuta. Nelle ultime stagioni l’irreale prende quasi il sopravvento.

 

 

Come molte altre sitcom la serie perde progressivamente di mordente, ma per un particolare mi è sembrata molto vicina a Scrubs (tra l’altro la mia sitcom preferita di sempre). Di Scrubs esiste una stagione che definirei “maledetta”: la NONA ovvero la stagione che non si sarebbe mai dovuta girare, la stagione di cui non c’era bisogno, la stagione che chi l’ha vista vive senza sonno condannato in eterno ad una vita trista! O più semplicemente si tratta di una stagione girata tempo dopo la conclusione della serie per puri motivi pecuniari, senza più il set originiario, senza il cast originario. In The Office avviene qualcosa di molto simile: si è pensato bene di chiudere la linea narrativa di Steve Carell alla settima stagione e di proseguire per altre due senza di lui. Non capisco come si sia pensato fosse una buona idea; per l’amor di Dio le puntate non sono poi malaccio, ma manca quel brio, si percepisce un’assenza e si guarda aspettando il momento in cui Carell apra la porta e rifaccia il suo ingresso, ma ciò non avviene. Senza senso o meglio, un senso lo vedo, ma solo nel portafogli di qualcuno.

 

 

In conclusione, The Office è una serie che ho adorato. A parte vederla in lingua originale, il mio consiglio è almeno di inizarla, senza sentire la pressione di doverla finire per forza. Le prime stagioni sono fantastiche e anche nelle più mosce (a parte la otto e la nove che fingo non esistano) ci sono sempre delle puntate o dei momenti talmente esilaranti per cui vi renderete conto che continuare a vederla non è stato un errore. Quindi la parola d’ordine è: VEDETELA!

 

The Office (USA), 2005
Voto: 7.5
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