Come sta procedendo la controrivoluzione iraniana?

Ad otto mesi dallo scoppio delle proteste in Iran il futuro della Repubblica Islamica dell’Ayatollah Khamenei appare ancora incerto.

 

 

Il 16 settembre 2022, giorno dell’uccisione della cittadina curdo-iraniana Mahsa Amini, ha segnato idealmente l’inizio di una serie di proteste su larga scala in Iran dirette contro l’attuale forma di Governo teocratico di Teheran; otto mesi dopo, la crisi non sembra aver trovato soluzione mentre il dinamismo internazionale del Paese mediorientale ha avuto un repentino innalzamento in concomitanza con il verificarsi di alcuni avvenimenti geopolitici mondiali.

Le proteste dei cittadini iraniani sono dirette in primis verso la Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei il quale, secondo Costituzione, è a capo tanto della vita politica quanto di quella spirituale della Repubblica Islamica; i moti di piazza interessano poi tutto il sistema teocratico di Teheran composto dal clero sciita, dal potere esecutivo esercitato dal Presidente Ebrahim Raisi e dalle forze militari dei Guardiani della Rivoluzione i quali estirpano sul nascere qualsiasi forma di opposizione al potere.
Le proteste hanno coinvolto gran parte della popolazione ma nelle ultime settimane i giovani iraniani si stanno rendendo protagonisti dei disordini, con movimenti studenteschi che cercano di far valere le proprie posizioni dai centri universitari. Mentre si diffondono sempre di più notizie che vedono strani casi di avvelenamenti nelle aule scolastiche riservate alle donne, crescono ogni giorno le sigle studentesche che criticano il regime. È notizia degli ultimi giorni la contestazione avvenuta a Teheran contro Khamenei durante un discorso agli studenti; tra questi era presente anche l’associazione Basij, tradizionalmente vicina al regime.

 

 

In tutto ciò l’Occidente continua a reagire attraverso lo strumento delle sanzioni internazionali: risale alla scorsa settimana l’iniziativa sanzionatoria di USA, Gran Bretagna e Unione Europea nei confronti di settanta ufficiali iraniani indicati come colpevoli di crimini contro i diritti umani. Il numero delle sanzioni occidentali è arrivato così a trecento; ma quale effetto concreto hanno questi provvedimenti?

L’Iran ha a che fare con le sanzioni internazionali fin dalla genesi della Repubblica Islamica nel 1979; in oltre un quarantennio il Paese ha sviluppato una resilienza a questi provvedimenti che, se da un lato hanno generato un malcontento diffuso nella popolazione, dall’altro hanno permesso a Teheran di costruirsi una rete di protezione attraverso alleati non allineati all’Occidente.
Quanto appena detto è ancora più evidente nel corso di questo tentativo controrivoluzionario interno in cui il potere centrale iraniano è riuscito a sfruttare le contingenze geopolitiche internazionali per assicurarsi l’appoggio di importanti alleati esterni.

Le sanzioni non hanno intaccato ad esempio l’operatività dell’industria di droni iraniana che, con lo scoppio del conflitto russo-ucraino, ha invece consentito alla Repubblica Islamica di diventare un importante partner bellico di Mosca. I droni iraniani sono facilmente assemblabili aggirando le sanzioni, utilizzando componenti comprate all’estero, ad esempio Cina, o con tecniche di reverse engineering frutto delle operazioni dell’intelligence iraniana o più semplicemente della globalizzazione.

Inoltre i recenti passi in avanti nella diplomazia con l’Arabia Saudita e il crescente legame con Pechino nell’Oceano Indiano, permettono all’Iran di potersi occupare con calma dei propri disordini interni.

 

 

La Repubblica Islamica vive da decenni questo paradosso che vede i propri centri di potere sempre di più delegittimati al proprio interno riuscendo però a costruire sempre più alleanze strategiche all’esterno. L’Occidente non è riuscito ad andare oltre alla strategia delle sanzioni e ad oggi si ritrova con uno Stato ostile in una posizione strategica per il commercio mondiale.
Al proprio interno il Paese sta attraversando una crisi accentuata e diffusa a tutti i livelli; le nuove generazioni sembrano pronte ad un cambio di regime ma senza un appoggio esterno faranno fatica a trovare la forza per rovesciare la teocrazia sciita di Khamenei. Il tempo quindi sembra stia giocando a favore dell’Ayatollah, sempre più contestato ma forte di un’intoccabilità garantita dai propri alleati esterni.

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