Do Not Feed The Monkeys: la recensione

Spiare il prossimo è un atto riprovevole, ma in un videogioco può avere anche risvolti inaspettatamente divertenti o tragici, a seconda della nostra coscienza.

 

 

I titoli dalle premesse originali sono un caposaldo nell’epoca moderna del videogioco, grazie alla florida scena indipendente che alimenta di continuo il mercato. Do Not Feed The Monkeys non fa eccezione: nel primo minuto di gioco scopriamo di essere entrati a far parte dell’esclusivo club di osservazione dei primati, un’associazione con regole rigide e ben definite che ci mette a disposizione delle gabbie da guardare per tutto il giorno. La prospettiva sarebbe alquanto blanda, se non fosse subito chiaro che le gabbie in questione sono in realtà telecamere, e di conseguenza il termine “primati” simboleggia le persone che verranno inconsapevolmente inquadrate.

 

 

Il titolo del gioco è anche la regola più importante del club: non date da mangiare alle scimmie, ovvero non interagite con chi viene ripreso dalle telecamere in alcun modo. Ottimo consiglio, ma è l’esatto contrario di quello che rappresenta il cuore dell’esperienza; ogni telecamera ha infatti qualcosa da rivelare, e cliccando opportunamente su oggetti o parti di dialogo ne prenderemo nota sul nostro taccuino, per poi utilizzare le informazioni raccolte come chiavi di ricerca su internet o come pezzi di un rompicapo più grande che rivelerà segreti e debolezze di chi stiamo osservando. Ciò è possibile grazie ad un’interfaccia che fa il verso a Windows XP, con tanto di programma per leggere le mail, una chat, un negozio online e l’immancabile browser, oltre naturalmente all’applicativo fornito dal club (che è proibito disinstallare).

 

 

Progredendo nella nostra osservazione potremo acquistare nuove gabbie, che significheranno più scene a cui prestare attenzione nel momento corretto: il tempo scorrerà come nella realtà, e perdere l’attimo in cui si verifica un determinato evento o saltare un dialogo importante finirà con l’influenzare la nostra partita. Ma dato che non è plausibile l’idea di un ragazzo attaccato allo schermo per 24 ore al giorno, i programmatori hanno introdotto una parte gestionale imprescindibile ai fini dell’avventura: il nostro alter ego avrà bisogno di dormire (o assumere ingenti dosi di caffeina) e mangiare regolarmente per poter restare lucido ed in salute, con la naturale conseguenza di dover trovare una fonte di introiti per sostenere le spese di cibo ed affitto. Guadagnare denaro onestamente è semplice, ma porta via parecchio tempo all’attività voyeuristica; d’altro canto, aver accesso a così tante informazioni preziose su personaggi spesso ambigui potrebbe rivelarsi una via moralmente discutibile ma molto efficace per non restare mai a corto di soldi.

 

 

Dal momento che i giorni a disposizione sono limitati, nelle prime partite sarà complicato bilanciare in maniera efficace le risorse ed il tempo. Non aiuta il fatto che il club, per confermare l’iscrizione al termine di ogni settimana, richieda un acquisto minimo di gabbie, ovviamente costosissime. Le prime partite a Do Not Feed The Monkeys sono cruciali per poter apprezzare il gioco in seguito: se la curiosità di vedere come vanno a finire alcune situazioni avrà il sopravvento, in quelle successive si diventerà più esperti nella parte manageriale e ne gioverà l’intera fruizione. Al contrario, se dovesse risultare tedioso il continuo tener d’occhio lo stato della fame e delle finanze, si potrebbe perdere interesse molto presto, malgrado esista una modalità che renda questo particolare aspetto molto più facile (ma disabilita per contro gli achievement).

 

 

Il nostro consiglio è comunque la perseveranza: dopo aver capito appieno cosa fare e cosa evitare, il tempo passato davanti alle telecamere sarà sempre più lungo e fruttuoso. Pur non volendo rovinare la sorpresa al potenziale giocatore, non si può evitare di citare alcune scene imperdibili, come le giornate stanche del dittatore esule in incognito (chiaramente ispirato ad un personaggio di inizio XX secolo) o le disavventure del contabile che voleva diventare una showgirl. La scelta di utilizzare una grafica bidimensionale ispirata ai computer dei primi anni ’90 non fa che aumentare l’atmosfera, arricchendo ogni schermata con dettagli ed effetti di grande impatto, specie nelle occasioni in cui compaiono elementi di grandi dimensioni su schermo.

 

 

Do Not Feed The Monkeys è originale come un gioco indipendente e appassionante come una produzione ad alto budget; deve essere giocato più volte per essere completato a dovere ma riesce a non essere troppo ripetitivo, pur senza esagerare nelle variazioni sul tema. Alcuni contenuti danzano sull’orlo del “vietato ai minori”, ma riesce ad essere un prodotto per tutti, purché si riesca a soprassedere su una componente gestionale che nelle prime partite rischia di intralciare la storia.

 

Do Not Feed The Monkeys, 2018
Voto: 8.5
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