Due esercitazioni militari interesseranno la Sardegna per tutto il mese di maggio; fra disagi, chiusure e rischi ambientali il territorio saprà gestire l’ennesimo stress?
Le operazioni militari “Noble Jump II 23” e “Joint Stars” si terranno dal 26 aprile al 26 maggio in varie località della Sardegna. La prima, condotta dalla NATO, vedrà impegnati nelle esercitazioni 12 Paesi membri e 11 Paesi partner; la seconda, guidata invece direttamente dal Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI), coinvolgerà la Marina, l’Aeronautica Militare, l’Esercito e l’Arma dei Carabinieri.
Le due esercitazioni sono considerate fondamentali dai vertici militari nazionali e atlantici, visto lo scenario Ucraino, e servono a testare la rapidità con la quale la NATO e l’Italia riuscirebbero a schierare le proprie truppe (nel caso NATO parliamo della “Very High Readiness Joint Task Force”) in caso di attacco ad uno dei Paesi atlantici nell’area del Mediterraneo.
Le operazioni saranno entrambe contraddistinte da un’enorme mobilitazione di uomini e mezzi: si calcola infatti che i soldati che transiteranno sul territorio sardo nell’arco di un mese saranno circa 10.000, mentre i mezzi militari navali, aerei e di terra, fra cui anche i famosi carri armati di ultima generazione Leopard II, saranno circa 1000 unità.
La Sardegna non è nuova a questo tipo di mobilitazioni e già l’anno scorso, nello stesso periodo, 7 Paesi NATO avevano sostenuto grandi operazioni militari congiunte sul territorio sardo, caratterizzato da una massiccia presenza di installazioni e di infrastrutture militari.
A partire dagli anni ‘5o infatti, a causa della Guerra Fredda, lo Stato italiano, in linea con i programmi NATO, e in particolar modo statunitensi, espropriò in Sardegna svariati ettari di terreni in aree a bassa densità abitativa con lo scopo di creare zone militarizzate per l’addestramento e lo sviluppo di tecnologie belliche; ed essi aggiunse 25 mila chilometri quadrati di mare. Sono sorti così nel tempo l’aeroporto di Decimomannu, il deposito munizioni della Maddalena e i poligoni di Capo Frasca, di Capo Telauda e del Salto di Quirra.
Proprio riguardo quest’ultimo, nel 2011, in seguito ad uno studio dell’ASL di Cagliari, è stato dimostrato che nei 3 chilometri quadrati intorno il poligono l’insorgenza di emopatie (tumori del sangue) nell’uomo e nel bestiame era di molto superiore alla media nazionale; la riesumazione di 18 salme richiesta dal Procuratore ha dimostrato che in 12 di esse erano presenti elevati valori di torio, un metallo radioattivo.
Le aree militarizzate della Sardegna rappresentano da sole il 60% delle servitù militari italiane, un rapporto sproporzionato se si considera che la Sardegna rappresenta il 5% del territorio nazionale; oltre ai problemi di natura sanitaria dunque, le infrastrutture militari e le fitte esercitazioni generano anche un forte ed improvviso stress sul territorio sia dal punto di vista economico-sociale che ambientale.
Gli espropri hanno generato delle conseguenze economiche nelle comunità pastorali locali con pesanti risvolti demografici, mentre i vari blocchi e delimitazioni marittime hanno creato e creano spesso disagi per i pescatori, per la filiera produttiva e per i commercianti che acquistano e vendono i prodotti, nonostante i contributi versati alla Regione dallo Stato in seguito alla legge n. 190 del ’94.
Le conseguenze ambientali forse sono ancor più gravi di quelle legate alla sfera umana: la mole e la sostanza delle esercitazioni logora e stressa oltremodo la fauna terrestre e soprattutto quella marina, data la quantità di navi e di carburante presenti nella ristretta area; i siti militari, e in particolar modo i poligoni, stanno inoltre generando una grossa quantità di residui bellici sparsi nelle aree antistanti le zone militari.
Anche in questo caso il Poligono militare del Salto di Quirra ha fatto scuola in quanto la sua attività starebbe distruggendo il sito speleologico sottostante il poligono stesso, quello di Is Angurtidorgius, un complesso di grotte carsiche ospitante diverse specie endemiche.
Il comparto militare è probabilmente iper sollecitato dalle recenti operazioni militari russe in Ucraina e dalla promessa invasione cinese di Taiwan; la questione delle servitù militari sarde sembrerebbe però raccontare una storia diversa in cui determinati territori vengono semplicemente sacrificati a scopo militare in quanto considerati iper strategici e allo stesso tempo iper periferici.
Parrebbe infatti che la posizione centrale della Sardegna nel Mediterraneo e, al contempo, la sua bassa densità abitativa, che hanno reso l’isola un ecosistema unico, non siano due qualità da tutelare ma due possibilità strategiche fondamentali per lo sviluppo militare italiano da portare in dote all’Alleanza atlantica.
Lo stress per il territorio e per la popolazione sembrerebbe essere messo in discussione solo dai vertici militari che non parrebbero intenzionati ad allentare nella pratica l’attività militare sull’Isola, probabilmente sopratutto adesso che il mercato delle armi è in fermento e i poligoni per i test diventano fondamentali.
Forse ricchezza e progresso non possono essere considerati come obiettivi positivi se raggiunti tramite il sacrificio di parte di un ecosistema e della piena libertà di un popolo sulla sua terra, e forse oltre alle armi stiamo commercializzando anche dei valori.