La Forma dell’Acqua: la recensione

Il Ceppo mi ha confidato di aver annegato in acqua e soluzione salina il suo conclamato cinismo, ma solo per una breve parentesi di 119 minuti. La Forma dell’Acqua di Guillermo Del Toro si aggiudica 4 premi Oscar per miglior film, miglior regista, migliore scenografia e migliore colonna sonora e il Ceppo si è domandato come mai un tale riconoscimento dorato.

 

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In fondo, si tratta di una fiaba, sicuramente ben raccontata, che nella trama sentimentale si inserisce nel filone già navigato de La Bella e la Bestia. Persino la creatura mostruosa, nell’accezione latina di monstrum-prodigio-essere straordinario, ricalca l’iconografia del noto Mostro della Laguna Nera anni ’50. Già esplorata anche la rappresentazione della solitudine che isola e in cui si isolano i “diversi” (l’omosessuale, la donna di colore e quella che ha subito abusi, restando muta) non accettati dalla società conformista americana degli anni ’50. I diversi che appaiono mostri anch’essi e che vengono esorcizzati semplicemente considerandoli invisibili. Ed ecco che l’omosessuale si rifugia nella sua arte, nei suoi gatti, e in un bar poco frequentato ma al contempo anela il dialogo e l’apprezzamento del suo lavoro; la donna di colore sfumacchia nei parcheggi di nascosto e annuisce ad ogni richiesta dall’alto alzando la testa solo col marito, mentre la protagonista, sola e sessualmente repressa, usa il suo silenzio come mantello dell’invisibilità ma vive sognando attraverso la voce e il bel canto delle dive hollywoodiane che riecheggiano dai televisori in bianco e nero e nel cinema sotto casa.

Di contro, vi è “il cattivo della fiaba”, l’uomo d’azione, l’agente spregiudicato, incapace, nella sua violenta grettezza di coglierne e apprezzarne la straordinarietà. Non è un caso che le doti divine e rigenerative dell’immortale dio marino, anche trasferibili sugli altri, non attecchiscano solo sul crudele Strickland. Il Ceppo poi adora i giochi linguistici ed etimologici e nel nome dell’antagonista ha scorto i termini trick che significa minaccia e land ossia terraferma; come a mettere in guardia dalle minacce dell’uomo, dio indiscusso della terraferma, nemico dell’iridescente e misterioso mondo acquatico regno del mostro marino. Il Ceppo non crede mai alle coincidenze. Eppure qui ci sono due aspetti che si discostano dalla tradizione. Da una parte, lo scontro tra buoni e cattivi avviene su due livelli: quello fisico tra Strickland e la creatura e quello mentale tra l’antieroe e la sottovalutata Cenerentola protagonista. E secondo aspetto, le debolezze e le mostruosità ai propri occhi e a quelli altrui, sono trasformate, premiate quasi, in nuove strade per la felicità. Così le cicatrici diventano branchie col tocco di un bacio e l’amore tra due diversi può volteggiare libero e, finalmente respirare, nell’acqua del mare, là dove le parole ed i suoni non servono.

 

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Il Ceppo si è chiesto se saper raccontare una fiaba dalla trama affatto nuova e dalle poetiche scenografie potesse bastare ad appassionare il pubblico e a conquistare l’Oscar. Poi ha capito. Ha meritato l’Oscar il silenzio, in una società in cui le urla assordano ed il diverso spesso chiede attenzione schiamazzando; ha vinto l’Oscar la carezza contro la mazza e la pistola; ha vinto l’Oscar la compassione sulla distruzione e sulla competizione della Guerra Fredda; ha vinto l’Oscar la Scienza con la S maiuscola, quella che non viviseziona ma cura, osserva affascinata e impara dalle sue stesse scoperte. E infine ha vinto l’Oscar il vero potere dell’eroina di questa fiaba, ciò che probabilmente ha fatto amare a tutti questa storia, quel momento esatto in cui decide di salvare la creatura che ama rischiando il lavoro e la vita e al vecchio amico che cerca di dissuaderla col suo “non è neanche umano”, risponde “non lo saremo neanche noi se non facciamo qualcosa”. Ed eccola lì, la vera morale di questa storia. Per essere eroi non occorre l’avvenenza da principessa Disney o da personaggio sexy della Marvel, non occorre neppure un superpotere come la stessa creatura degli abissi marini di cui si innamora. Occorre coraggio. Occorre la sensibilità di riconoscere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ciò che è straordinario prima ancora che riveli di esserlo. E occorre essere umani, nel suo senso più alto e profondo, per essere davvero Dei sulla terraferma.

 

La Forma dell’Acqua, 2017
Voto: 7
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