Al vertice NATO di Vilnius c’è stato il “no” della Turchia all’ingresso della Svezia nell’Alleanza; e se il “no” non fosse solo ideologico?
A Vilnius i Capi di Stato dei Paesi della NATO si sono incontrati per discutere di varie tematiche: dall’ingresso della Svezia all’interno dell’Alleanza, alla Guerra in Ucraina, fino ai rapporti dei singoli Stati con la Cina di Xi Jinping.
L’aumento della spesa militare è stato individuato come la principale soluzione ai problemi provenienti da Oriente, sia sul fronte russo che su quello cinese; il potenziamento del sistema difensivo militare dunque viene percepito come una necessità fondamentale per la sicurezza dei singoli stati e dell’Alleanza stessa.
Proprio alla luce di questa necessità si potrebbe leggere la risposta negativa del Presidente turco in merito all’adesione della Svezia nell’Alleanza atlantica; se da una parte si può desumere infatti che il no sia dovuto a degli equilibri che Erdogan vuole provare a continuare a mantenere fra Russia e NATO soprattutto in ottica Mar Nero, dall’altra si può ipotizzare che il “no” possa essere usato come merce di scambio proprio per aumentare il suo potenziale difensivo.
I colloqui con Joe Biden avuti dal Presidente turco potrebbero proprio essere interpretati in questa chiave di lettura: gli USA hanno bisogno di certezze in chiave anti-russa, sia militari che logistiche, da parte della Svezia e della Turchia. Sono interessati tanto all’ingresso della Svezia, che permetterebbe alla NATO di schierare una linea difensiva senza soluzione di continuità lungo tutto l’enorme confine russo occidentale, quanto alla soddisfazione della Turchia, alfiere privilegiato nel confronto con Putin e Paese fondamentale per la sua posizione e la sua importanza nel Mar Nero.
La Turchia sembrerebbe essere conscia del suo peso specifico all’interno della scacchiere geopolitico internazionale, e l’intenzione del Paese della mezzaluna sembrerebbe proprio essere quella di tenere in scacco l’Alleanza, e in particolare gli USA, con lo scopo di ottenere il massimo da questa situazione. Il “sì” turco all’ingresso della Svezia all’interno dell’Alleanza potrebbe arrivare proprio in seguito ad un’offerta a stelle e strisce che genererebbe uno scenario win-win: gli USA vedrebbero concretizzato il loro argine russo lungo tutto il confine euro-asiatico, e la Turchia riceverebbe dispositivi militari all’avanguardia che le permetterebbero non solo di assicurarsi il miglioramento difensivo tanto caro alla NATO, ma renderebbero il Paese ancora più potente militarmente.
Erdogan sembrerebbe voler puntare alla tecnologia militare dei caccia F-16, un vanto dell’areonautica statunitense, che renderebbe i cieli di Ankara ancora più sicuri e proietterebbe la Turchia fra le super potenze militari dell’area, con ricadute militarmente positive anche sulla vicina Grecia.
La corsa alle armi storicamente non è mai stato uno scenario positivo; nel corso della storia infatti l’aumento degli armamenti ha sempre preceduto lo scoppio di conflitti dalla portata ampia, come nel caso della Prima Guerra Mondiale o della Guerra del Vietnam.
La Turchia non sembra intenzionata a voler causare conflitti su larga scala, ma certamente l’aumento del suo potenziale bellico potrebbe costituire una tacita minaccia verso tutte quelle comunità che per motivi religiosi o geopolitici hanno attualmente dei forti attriti con il governo di Ankara, come il popolo Curdo o la vicina Armenia.
La NATO dovrebbe essere un’organizzazione tesa all’evitare i conflitti per la salvaguardia della popolazione mondiale e degli Stati membri; riempire però uno Stato in cui si sta profilando un governo pseudo-dittatoriale di avanzati armamenti bellici potrebbe essere una soluzione nel breve termine, ma un errore nel lungo termine.
La lungimiranza dovrebbe essere l’obiettivo della NATO, e non il massiccio riarmo difensivo.