L’espansione scandinava della NATO: cause ed evoluzioni

La guerra in Ucraina ha modificato la percezione della Russia al punto che il timore per il Cremlino orienta le bussole politiche di diversi Stati.

 

 

L’allargamento graduale della NATO fino alle propaggini più orientali del continente europeo è parte dell’innesco che ha portato al conflitto russo-ucraino, e immediatamente dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica è stato l’elemento centrale nel perenne dibattito fra Occidente e Russia.

L’espansionismo ad est della NATO ha coinvolto tutti gli ex-Stati del Patto di Varsavia, esclusi ovviamente quelli facenti direttamente parte dell’Unione Sovietica, le Repubbliche Baltiche e diversi Stati balcanici come Albania, Croazia, Montenegro e Slovenia.

La NATO ha presentato il suo espansionismo come una parte necessaria del processo volto a garantire uno sviluppo sereno a tutti quegli Stati da poco usciti dall’orbita sovietica, caratterizzati da infrastrutture militari carenti sia nella qualità che nella quantità e perciò vulnerabili a possibili attacchi alla propria indipendenza.

C’è tuttavia da considerare la possibilità che oltre allo sviluppo di questi Paesi, eventualità comunque fondamentale per l’accrescimento ed il mantenimento di un mercato capitalista che è cuore, motore e timone degli Stati Uniti, ci sia dell’altro dietro l’avanzamento ad est della NATO, ovvero il mantenimento di un certo status-quo.

Gli Stati Uniti sono i vincitori della Guerra Fredda, e lo status quo che deriva da questo epilogo è un onore ed un onere geopolitico che gli Stati Uniti difendono con rigore e zelo, consci del contributo strategico che può portare in dote una rete di alleanze militari diffusa a livello continentale in prossimità dei territori nemici.

 

 

La NATO è un’organizzazione che potremmo definire ontologicamente anacronistica, data l’originaria natura anti-sovietica, ma la sua esistenza, così come la sua più recente crescita, sono strettamente legati al ruolo di potenza egemone degli Stati Uniti: è il manifesto della supremazia statunitense, certificata, ma anche sfruttata, da alcuni degli Stati più influenti del panorama politico internazionale.

Le sterminate bocche da fuoco degli Stati Uniti rappresentano un porto sicuro per la tranquillità militare di molti governi, e la situazione in Ucraina non ha fatto che amplificare questa necessità di protezione, ponendo diversi Stati storicamente neutrali dinanzi ad un dubbio: rompere con il passato per assicurarsi il deterrente nordatlantico, con tutti gli oneri del caso, o mantenere una coerenza politica a fronte di un rischio indecifrabile come la Russia.

Il caso più recente, ed allo stesso tempo più esemplificativo di questa fattispecie, è quello della Svezia, Paese dal glorioso passato militare che tuttavia ha scelto, dal Novecento in poi, di assumere posizioni neutrali rispetto a tutti i conflitti occorsi, comprese le due guerre mondiali, concentrandosi principalmente sul raggiungimento di obiettivi di carattere socioeconomico ed umanitario.

In seguito al conflitto russo-ucraino all’interno del governo svedese e, più in generale, di tutta la nomenclatura politica del Paese, sono sorti sentimenti di timore e diffidenza nei confronti del vicino russo, nemico, in un arco temporale di 488 anni, per ben 9 volte in altrettanti conflitti diretti: più che una questione di geografia è un presagio imbevuto di reminiscenza.

Il ridimensionamento della Russia in ottica zarista sembrerebbe essere la massima aspirazione del leader del Cremlino, e le azioni russe in Ucraina possono essere facilmente inquadrate come parte di tale processo; l’ipotetica riuscita del progetto al suo massimo grado includerebbe l’annessione russa della Finlandia, Granducato russo dal 1809 al 1917, e a più riprese rivendicata dal conservatorismo russo sino al 1947, anno dei Trattati di Parigi.

Ovviamente è pressoché impossibile che la Russia possa invadere la Finlandia, uno Stato membro dell’UE e senza un passato sovietico, ma il fatto che la Finlandia non sia un membro NATO, così come la Svezia, lascia un fianco scoperto nella cortina occidentale a Putin e alla sua strategia della tensione da innescare lungo i confini.

La richiesta di adesione alla NATO fatta da Svezia e Finlandia nei scorsi giorni, attesa e piacevolmente accolta dall’Organizzazione, può essere vista proprio come un aggiustamento strategico preventivo, in cui entrambe le parti cedono qualcosa sul piano della coerenza, ma guadagnano notevolmente sul piano della sicurezza e del controllo.

 

 

Svezia e Finlandia metteranno da parte la loro neutralità e dedicheranno una buona fetta del loro PIL alle spese militari, aumentando notevolmente il loro potenziale bellico, e la loro sicurezza nazionale, la NATO, e per estensione gli Stati Uniti, guadagnerà il tassello mancante che gli permetterà di edificare una frontiera militare profonda e senza soluzione di continuità dalla Scandinavia alla Turchia.

L’iter burocratico per entrare ufficialmente nell’Alleanza non è dei più snelli, ma la NATO ha promesso una velocizzazione speciale data la particolarità e la gravità della situazione; Putin ha affermato che l’adesione in sé non sarebbe un problema, piuttosto lo sarebbero le strutture militari che potrebbero sorgere in quei territori, sottolinenando come gli Stati Uniti continuino arrogantemente ad aggravare la loro posizione.

Probabilmente la situazione ed il clamore che ne derivano scemeranno impantanati nella burocrazia, ma se dovesse esserci un’effettiva velocizzazione dell’iter, ed un’altrettanta velocizzazione nello spostamento di strutture e strumenti militari NATO all’interno dei due territori scandinavi, la situazione potrebbe tracimare.

La Turchia, nel frattempo, si sta opponendo all’entrata di Svezia e Finlandia nella NATO, affermando che in particolare la Svezia ha spesso dato rifugio e supporto a membri del PKK, l’organizzazione curda che Turchia, UE, e Stati Uniti riconoscono come terroristica, seppure con le dovute riserve.

 

 

Il valzer della burocrazia è iniziato nel salone della NATO, e la buona riuscita potrebbe disinnescare parte della minaccia russa, ma gli invitati devono stare attenti a non pestarsi i piedi.

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