La visione di una Unione Europea che possa sostituire interamente i Paesi che la compongono si contrappone alla realtà di tradizioni e culture millenarie.
Chi ha voluto trasformare la CEE in Unione Europea aveva in mente un’obiettivo ben definito: rendere l’Europa una federazione di Stati, sullo stile degli USA: ogni nazione avrebbe dovuto cedere una buona parte della sovranità in favore di un ente comune che avrebbe preso per tutti le decisioni più ad alto livello. Questo avrebbe dovuto formare un blocco economico e politico talmente forte da poter elevare questa federazione ad attore importante nello scacchiere internazionale e mettendolo alla pari degli USA.
Nei fatti, questa impostazione era utopica (nel migliore dei casi) e si sta rivelando fallimentare per molteplici motivi.
Partiamo dal fatto che chi ha voluto creare una UE analoga agli USA non ha assolutamente tenuto in considerazione la sostanziale differenza sociale delle rispettive popolazioni: gli Stati Uniti hanno meno di 250 anni di storia, contro i quasi 3000 dell’Europa. Se negli USA esiste una cultura prevalente a trazione anglosassone alla quale si sono adattati gli immigrati arrivati nella prima metà del ‘900 (il destabilizzante afflusso di latino-americani degli ultimi decenni meriterebbe un discorso a parte), l’Europa vede un millenario spezzettamento di culture e tradizioni diverse e non assimiliabili (ma compatibili), per non parlare delle differenti lingue che spesso hanno ceppi completamente diversi. Insomma, chi ha voluto una UE uguale agli USA ha tentato di far entrare un cubo nella formina di un cerchio.
Sono principalmente tre le iniziative che hanno tentato, riuscendo solo in parte, di formare una cultura europea unica cancellando quelle nazionali: il progetto Erasmus, l’accordo di Schengen e l’introduzione dell’Euro.
L’Erasum, il progetto universitario di frequentazione di atenei stranieri, ha senz’altro aiutato le generazioni di studenti successive alla sua introduzione a conoscere nuovi luoghi, nuove culture e nuovi popoli, avvicinando dagli anni ’90 questi ragazzi e rendendoli più “europei”. L’Erasmus è la più vecchia delle tre iniziative, e non a caso è quella meglio studiata e più proficua.
L’accordo di Schengen sulla libera circolazione di persone e merci mira a facilitare i commerci, ed in seconda battuta a dare l’impressione ai cittadini europei di vivere in un territorio unico. Nei fatti però, oltre ad aver sicuramente reso più agevoli gli scambi commerciali, Schengen si è rivelato un paradiso per tutte le attività criminali operanti in territorio europeo; che si tratti di criminali comuni o di organizzazioni di alto livello, l’abbattimento delle frontiere e la conseguente limitazione nel poter controllare i movimenti di persone sospette o indesiderate ha reso estremamente difficoltoso il contrasto al crimine. Ne sono esempi lampanti la (non) gestione dell’immigrazione clandestina, che spesso contrappone i paesi membri dell’UE (e proprio in questi casi si vede quanto non esista un’Europa unita ma tante individualità), il mancato contrasto alle bande di microcriminali che dalla Romania imperversano in Italia, Germania e Francia, o la rapida ed incontrastata diffusione delle principali organizzazioni malavitose italiane in Germania ed in Belgio, territori vergini con investigatori non preparati a questi fenomeni, e dove è stato semplice impiantarsi e dove riciclare il denaro sporco.
Infine l’Euro, il vero capolavoro di una Unione Europea che procede da sempre e per ovvi motivi a velocità diverse e che denota interessi nazionali spesso contrastanti: una moneta unica alla quale non è stata associata una legislazione economica uniforme all’interno dell’UE, che nei fatti ha diviso ulteriormente i paesi del nord Europa da quelli del sud e che viene gestita da una banca centrale (la BCE) che è un ente completamente autonomo, impermeabile alle necessità dei cittadini europei, non è gestito o gestibile dal Parlamento Europeo, estremamente nebuloso nei suoi processi e nelle sue decisioni, e che spesso esprime gli interessi di pochi tramite rappresentanti scelti in modo non rappresentativo ma per chiamata diretta.
Questi tre elementi sono stati progressivamente affiancati dal Parlamento Europeo una disparata serie di leggi ed iniziative non necessariamente condivise o condivisibili da una larga fetta di cittadini europei; iniziative mirate infatti non a rendere omogenea la popolazione rispettando le differenze, ma ad annullarle, entrando nel merito delle diverse culture, imponendo un’agenda di azzeramento delle identità nazionali e territoriali ed affiancando una serie di iniziative politiche espressione unicamente di una parte della società; o ancora, tentando di direzionare le politiche energetiche con decisioni unilaterali prive di contatto con la realtà o con norme sull’alimentazione che sembrano voler accontentare i grandi colossi di settore invece che promuovere il benessere tra i cittaini europei.
In questo contesto, non potevano non sorgere resistenze anche importanti, resistenze che sono state fraudolentemente e faziosamente tacciate di nazionalismo becero o di razzismo o ancora di discriminazione. La realtà è che la direzione presa dall’UE ha alienato i favori dello stesso elettorato che aveva inizialmente ben visto un rafforzamento politico internazionale dell’Europa; la direzione è infatti cambiata in corsa, abdicando completamente dal desiderato ruolo strategico nello scacchiere internazionale (fatta salva la crisi ucraina, l’atteggiamento dell’Europa è stato negli ultimi decenni di una completa mancanza di coesione e di continue lotte intestine, con sgambetti e sopraffazioni non certo passate inosservate) puntando invece sull’imposizione di modelli sociali ed economici non condivisi da una buona metà di cittadini europei.
L’attuale Unione Europea è un coacervo di interessi particolari, di ipocrisie, di forzature politiche e culturali; in ultima analisi rappresenta un tentativo di imporre in modo completamente antidemocratico e quasi dittatoriale la visione di pochi ai cittadini che hanno sempre meno potere nell’influenzare le decisioni prese a Bruxelles. Lontana è l’idea alla base della CEE, una comunità economica che come tale si limitava a facilitare i commerci e la cui fine non a caso ha coinciso con l’inizio del declino del vecchio continente. Se un cambio di rotta è possibile, lo vedremo solo alle prossime elezioni politiche europee, quando verrà rinnovato il Parlamento: cosa sceglieranno i cittadini europei, di continuare ad essere oggetti di interessi privatistici e di parte o di tentare qualcosa di nuovo, non necessariamente perfetto ma sicuramente diverso?