Il confine che non c’è: la filastrocca ucraina

Un confine, due Stati, tre attori: una trasposizione temporale nel presente degli antichi dissapori che vanno avanti ormai da anni, se non da secoli.

 

 

And you still don’t have the right look
And you don’t have the right friends
Nothing changes but the faces, the names and the trends
High school never ends”.

Così recitava un inciso di una fortunata canzone dei Bowling For Soup, in cui si fa riferimento al fatto che le dinamiche liceali non finiscono mai, vengono solo traslate in un altro contesto, forse più maturo, ma al contempo più brutale.

Questa è la situazione che vivono oggi Russia, Ucraina e Membri della NATO. Le ingerenze russe sul territorio ucraino affondano le proprie radici nella storia: già nella seconda metà del XVII secolo l’espansionismo russo si diresse proprio verso questa regione, considerata strategica data la sua opulenza di risorse granarie e la sua posizione centrale che la rendevano, e la rendono, un avamposto naturale tra Occidente e Oriente.

Fa riflettere tuttavia che la propulsione conquistatrice di matrice russa nei confronti dell’Ucraina fu innescata dagli ucraini stessi, che chiesero aiuto allo Zar Alessio I per difendersi dalle intromissioni politico-militari della Confederazione polacco-lituana. L’egemonia russa sul territorio ucraino venne sancita de facto con il Trattato di Perejaslav, un patto che dal punto di vista ucraino doveva semplicemente assicurare un sostegno militare russo, ma che sin da subito assunse i connotati di un’annessione vera e propria.

Vale la pena ricordare, e sorridere entro certi limiti, del “regalo” che nel 1954 i Russi, nella figura di Nikita Chruščëv, fecero all’Ucraina per celebrare proprio il terzo centenario di quel trattato: la Crimea.

 

La storia più recente del turbolento rapporto fra Russia e Ucraina è nota ai più. Dalla Rivoluzione d’Ottobre fino al crollo dell’Unione Sovietica, infatti, l’Ucraina è sempre stata sotto il controllo diretto dell’Unione Sovietica, assumendo il nome di Repubblica Socialista Sovietica Ucraina.

I principali dissapori e gli istinti nazionalistici ucraini nascono proprio in questa fase storica, durante la quale il potere stalinista esasperò la popolazione ucraina con uno sfruttamento intensivo delle risorse granarie, con le deportazioni di massa dei dissidenti nazionalisti, e le carestie indotte da un sistema economico pianificato ma altamente fallace, come dimostrerà in seguito la storia.

Oggi l’esasperazione della popolazione ucraina è tutta rintracciabile nel forte nazionalismo che ne contraddistingue la politica e la società civile, nell’aspirazione europeista e occidentalizzante che spira nelle vaste pianure ucraine, ma che tuttavia si infrange contro l’immaginifico muro eretto dalla matrice culturale russa che si estende dalla Crimea all’Oblast’ di Luhans’k.

 

 

Ed è in questa tensione politica e culturale che si insinua il terzo attore partecipe di questo dilemma kierkegaardiano, in cui vige un obbligo naturale di scelta: la NATO.

L’Organizzazione atlantica, sin dalla fine dell’Unione Sovietica, non ha mai nascosto il suo interesse per lo Stato ucraino data la sua importanza strategica, il cui controllo garantirebbe una postazione militarmente di lusso nella logica dell’espansionismo e del mantenimento dello status quo occidentale.

Le esercitazioni russe al confine con l’Ucraina, il tam-tam diplomatico lungo le linee telefoniche del potere, e le minacce che si scambiano i due schieramenti hanno un sentore di Guerra Fredda più che vago.

 

 

Tutti sembrano interessati per un motivo o per un altro all’Ucraina, ma c’è da domandarsi: a qualcuno interessa veramente degli ucraini? O ancora una volta una piccola, seppure importante Nazione, sarà il pedone da sacrificare per portare uno dei due blocchi a gridare allo “scacco matto”?

D’altronde “Cold War never ends”.

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