L’invasione dell’Ucraina ha compromesso quanto fatto di buono da Putin nel corso degli anni, compattando contro di lui quasi tutto il mondo.
È innegabile il fatto che Putin, durante il suo ventennio di potere, abbia cambiato radicalmente – in meglio – la situazione economica della Russia e abbia reso il paese ex-comunista un credibile attore della politica internazionale; risultati eccezionali vista la condizione russa all’inizio del suo mandato. Insediatosi al potere nel 1999 e da allora Presidente o Primo Ministro, Putin è riuscito a far ripartire il motore economico della sua nazione aprendo la Russia all’occidente, facendo sì che nascessero partnership commerciali con le più grandi multinazionali ed aziende statunitensi ed europee, permettendo loro di accedere ai mercati interni russi e di contro permettendo che le importantissime materie prime disponibili in Russia (su tutti, i prodotti petroliferi) fossero venduti agli ex-nemici.
Questo gli ha permesso di ottenere molteplici benefici per se, i suoi sodali ed in ultima analisi per la popolazione russa; quest’ultima, arricchendosi grazie agli scambi commerciali internazionali ed all’apertura di nuovi posti di lavoro, ha ottenuto un tenore di vita impensabile fino ai primi anni degli anni 2000. Il poter apprezzare uno stile di vita più moderno e sganciato dalle privazioni tipiche degli anni dell’Unione Sovietica ha di conseguenza consolidato il supporto a Putin nonostante il progressivo irrigidimento verso gli oppositori interni che ha portato a strane e comode eliminazioni, sociali o fisiche, di giornalisti e politici ostili a Putin.
In politica estera, Putin ha saputo presentare la Russia come una potenza affidabile e con la quale poter intavolare relazioni stabili, e di pari passo si è dimostrato uno stabilizzatore in aree di conflitto o di possibile escalation (come in Siria, ma anche in relazione alla Corea del Nord, tanto per citare un paio di esempi), anche se ovviamente la priorità per gli interessi nazionali russi non sono mai stati un segreto in questi frangenti.
È altrettanto vero che spionaggio e servizi segreti non sono mai stati messi in secondo piano, ed in numerose occasioni gli agenti russi sono stati pizzicati con le mani nel sacco, come nel caso nostrano del 2021 del Capitano di Fregata Walter Biot o l’ondata di espulsioni di diplomatici russi dall’Europa nel 2018.
Le mosse internazionali di Putin non sono state tutte rosa e fiori: come gli interventi armati in Georgia e Crimea, che però sono stati tollerati dall’Occidente a causa degli interessi economici che ci hanno portato in relazioni sempre più strette con Mosca, specie per quanto riguarda gli approvvigionamenti di fonti energetiche fossili. È anche vero che alcune delle azioni militari russe sono riferibili ad un tentativo di espansione della Nato fino ai confini del paese ex-comunista, manovra oggettivamente discutibile e di cui abbiamo parlato recentemente.
Con questo scellerato attacco all’Ucraina, Putin ha distrutto tutto il lavoro fatto in questi venti anni ed in aggiunta ha causato dei danni non indifferenti al suo Paese.
L’invasione ha comportato la ricostituzione di una cortina di ferro della quale avevamo perduto il ricordo, riattualizando il rischio di una guerra atomica globale; la tensione è al massimo dalla metà degli anni ’80, e addirittura nazioni storicamente neutrali come Svezia e Finlandia hanno chiesto di entrare a far parte della Nato. Fa specie proprio il caso del Paese lappone, che dopo la dura guerra d’inverno del 1939-40 ha intrattenuto rapporti estremamente bilanciati fra le superpotenze. Ma non sono gli unici Stati ad aver premuto sull’acceleratore che porta all’ingresso nell’alleanza atlantica: è il caso di Georgia e Moldavia, due Stati la cui posizione è strategica e che già oggi sono oggetto di controversie con la Russia (la Georgia è stata attaccata nel 2008, la Moldavia ospita basi russe mai accordate dalle istituzioni locali).
Le sanzioni emesse dal fronte occidentale del mondo, che da solo rappresenta il 60% del PIL mondiale, ha compromesso l’economia interna russa con esiti che arriveranno nel medio e nel lungo periodo e che colpiranno la popolazione, andando ad erodere il consenso di Putin; ma già oggi i settori dell’economia reale iniziano a vedere gli effetti. Il blocco delle importazioni sta cominciando a causare grossi disagi alla filiera industriale russa, causando scarsità di prodotti e un aumento dell’inflazione (già oggi intorno al 12% e prevista al 23% nel 2023); e la fuoriuscita delle aziende occidentali stanno causando licenziamenti a catena (si parla di circa 200000 nella sola Mosca). Se l’economia sta in parte reggendo è solo grazie alle sovvenzioni della Banca russa ed a nuovi accordi con Cina, India e altri stati lontani dal mondo occidentale; ad ogni modo nella prima parte del 2022, la Russia ha perso l’8% delle esportazioni ed il 16% delle importazioni.
Questo non potrà non indebolire il suo potere politico interno, che già oggi si sostiene su di una serie di intrecci legati ad amicizie personali ed economiche con gli ormai famosi “oligarchi”, che però vedono sempre più le loro ricchezze minate dalle sanzioni occidentali. È anche da notare come Putin, durante la sua storia politica, si è trovato in seria difficoltà solo in due momenti: durante le proteste dei minatori prima e dei pensionati poi. Insomma potrebbe essere il popolo, tuttora fortemente schierato al fianco di Putin, a chiedere un cambio di passo nei prossimi mesi.
C’è un altro aspetto da non sottovalutare: la censura dei media russa sta rallentando, ma non bloccando le voci delle enormi perdite umane subite dalle forze armate in questa offensiva che giorno dopo giorno sembra dare un esito inaspettato e sempre più favorevole all’Ucraina. La stima è di 25000 caduti russi finora, tanto che la rotazione sul fronte sta portando a combattere soldati inesperti e sembrerebbe iniziata una coscrizione per i diciassettenni.
Altro elemento clamoroso è la resa pessima dell’armata russa: la mancanza di coordinamento e la plausibile voglia iniziale di non usare la mano pesante, supponendo erroneamente nello sfaldamento dell’esercito ucraino non giustificano l’enorme quantità di mezzi distrutti e uomini persi in una guerra che doveva durare al massimo una settimana e che dopo oltre due mesi non accenna a dar segni di pause. Risulta evidente la mancanza di qualità dell’armamento russo e l’impreparazione generale delle truppe di Putin; se è vero che l’Ucraina non avrebbe potuto durare a lungo senza le armi fornite dalla Nato, era altrettanto lecito attendersi un’avanzata russa secca e netta in pochi giorni.
Insomma, Putin ha ottenuto una sconfitta clamorosa in merito alla potenza ed all’efficacia del suo esercito; e non è un caso l’accenno fatto da lui e da Lavrov in merito alle armi nucleari; perchè sono l’unico vero deterrente in caso di guerra convenzionale contro l’occidente.
Putin non è il solo ad aver inutilmente alzato i toni negli ultimi mesi, iniziando da un Biden che col classico stile di arroganza e presunzione tipica della cultura statunitense lo ha pubblicamente apostrofato come un killer, compromettendo irrimediabilmente ogni possibile dialogo ulteriore e riproponendo una situazione di tensione già creata ai tempi di Obama e che Trump era riuscito a calmare.
Di certo però Putin è colpevole di aver iniziato una guerra che sta in primis dimostrando come l’armata russa non faccia poi così paura, visto che in due mesi e mezzo la Russia non è riuscita praticamente ad ottenere alcuna vittoria significativa a fronte di enormi perdite, ed in secundis di aver aggravato una situazione economica internazionale già provata dall’emergenza Covid.
Le violenze delle truppe russe, filorusse e cecene sulla popolazione ucraina e la negazione dell’evidenza (in perfetto stile comunista) hanno posto un macigno difficilmente rimuovibile e che segneranno fortemente qualsiasi tentativo di trattative di pace nei prossimi mesi.