Il Divin Codino: la recensione

Roberto Baggio è stato un immenso campione spesso incompreso. Similarmente va col cinema; il film sulla sua vita cicca come il famoso rigore ai Mondiali.

 

Il Divin Codino

L’idea di Netflix era affascinante: raccontare in un lungometraggio, dal titolo Il Divin Codino, l’incredibile carriera del più grande calciatore italiano degli ultimi tempi. Non era male neanche la scelta di affidare ad una donna, per di più giovane, la regia del tutto. Ma dal cognome della regista si doveva intuire tutto, Letizia… Lamartire! E infatti il lavoro è uno stillicidio sotto molti (troppi) punti di vista. Partiamo da quello che si salva, che è più facile.

Andrea Arcangeli interpreta Baggio benissimo. C’è una grande somiglianza fisica ma anche c’è anche una grande performance recitativa che passa dall’imbarazzo di un giovanissimo ragazzetto comprato a peso d’oro dalla Fiorentina alla frustrazione di un uomo ormai segnato dal tempo nelle ultime partite col Brescia. “Il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette”, per citare un altro capolavoro calcistico (anche se musicale). Lo rivedremo in tanti altri film.

Altra cosa bella: l’amore che l’Italia ha per Baggio è (ancora) puro e va oltre l’estetica (non riuscita) del film. Lo dimostra la scena finale che fa venire i lucciconi a chiunque la guardi, riaprendo ferite mai veramente sanate della nostra infanzia ed adolescenza. Pochi minuti che scaldano il cuore e che, diciamolo, salvano la produzione del lungometraggio da un linciaggio sicuro. Perché?

Perché la trama del film è imbarazzante, piena di buchi narrativi e passaggi illogici. Non venite a dirci che era impossibile fare di meglio perché la carriera di Baggio è stata lunga. Lo dimostra il film su Pelè (che di partite ne ha giocata qualcuna) che è semplicemente perfetto. Bastava usare un minimo di razionalità invece di scrivere la sceneggiatura schiacciando tasti della tastiera a caso al buio. Un esempio? Un sacco di tempo a raccontarci di Roby infortunato e triste a Firenze perché non è mai entrato in campo e poi, di colpo, una scena in cui il mister della Viola gli dice “Ti hanno chiamato in Nazionale”. Ehhhh? Sulla fiducia? No, perché in campo con i gigliati a noi non ce l’avete mai fatto vedere.

Poi c’è la scelta di puntare forte sulla nazionale ma segando dalla trama il gol ad Italia 90 che fece innamorare la nazione di quel riccioletto che smarcò tutta la Cecoslovacchia mettendo la palla in rete in uno Stadio Olimpico in tripudio. S’indugia invece nei dualismi con Sacchi (al limite della macchietta di Crozza ma meno divertente) e ci s’intruppa su quel rigore che chiuse male Usa 94 e i nostri sogni di gloria.

 

Il Divin Codino

 

Ma il simbolo vero della sciatteria con cui è stato confezionato Il Divin Codino sta tutto in Martufello (!). Sì, il “comico” del Bagaglino che per vent’anni cercava di far ridere facendo il burino laziale con frasi imbarazzanti tipo “auendo auvuto”. Dopo quindici minuti che lo fissavo attonito ho capito… era Carlo Mazzone. Cioè questi hanno preso Martufello per fare Mazzone. Ma se lo meritava Baggio? Perché accanirsi tanto?

E così dietro ad un bel titolo e ad un personaggio immenso… il nulla. Si poteva fare una serie oppure un documentario ma anche un film vero. Si poteva fare tutto tranne questo abominio che è esattamente un rigore tirato alto sopra la traversa in finale dei Mondiali.

Il Divin Codino – 2021
Voto: 4
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