Ius Scholae: 1500 emendamenti per fermare un processo fisiologico

La Lega ha presentato 1500 emendamenti per ostacolare l’approvazione dello “Ius Scholae”, alcuni però vanno oltre il concetto di opposizione.

 

 

Cosa ci rende italiani, oltre a Coppe del Mondo ed Europei, è una domanda alla quale negli ultimi mesi si è cercato di dare una nuova riposta, diversa dalla consuetudine e più orientata verso le esigenze e le evidenze demografiche che caratterizzano l’attuale condizione del Paese.

Circa un milione di studenti frequentano le nostre scuole consci del fatto che l’essere nati qui, l’essere arrivati qui da bambini, e aver studiato qui il medesimo programma che forma culturalmente altri ragazzi, a cui però questo problema non viene posto, potrebbero non bastare come motivazioni per l’ottenimento della cittadinanza italiana.

Essere in disaccordo con la proposta di legge dello “Ius Scholae” è un fatto più che legittimo, quasi obbligato all’interno di un sistema che si basa sul riconoscimento di una maggioranza e di una minoranza come la democrazia, ed è giusto che la destra parlamentare manifesti il suo dissenso all’interno di un dibattito; ad essere avvilente tuttavia è stato il metodo con il quale parte della destra italiana, e più specificatamente la Lega di Salvini, ha operato per manifestare il proprio dissenso.

La trovata, ammissibile legalmente ad onore del vero, è caratterizza però in diversi passaggi dalla mancanza di raziocinio politico e sociale, come la proposta di subordinare l’ottenimento della cittadinanza al superamento di un test sulla conoscenza di sagre e canzoni che caratterizzano il folklore del nostro paese, o al raggiungimento del massimo profitto scolastico.

 

 

Il folklore, in uno stato come quello italiano fortemente regionalizzato, dato il suo passato stabilmente oltre il concetto di federale, è parte della matrice culturale che tutti noi assorbiamo e a nostra volta restituiamo al territorio dopo averla emotivamente elaborata; tale processo si ottiene semplicemente vivendo un territorio, e non studiando asetticamente le tradizioni più disperate che altri individui hanno reputato efficaci per la costruzione della cultura altrui.

Un ragazzo nigeriano nato a Brescia da una famiglia di migranti parlerà italiano e yoruba, vivrà le tradizioni bresciane, magari cantando Madonnina Dai Riccioli d’Oro, perché vivrà quel territorio, e potrà allo stesso tempo coltivare le sue tradizioni famigliari perché la famiglia, così come il territorio, è parte del nostro vissuto e dunque del nostro processo; questo ipotetico ragazzo avrà la possibilità di restituire al territorio la sua esperienza, modificandolo magari in meglio.

Marginalizzare questi ragazzi arrogandosi il diritto di precludere loro una possibilità in nome della difesa di un passato oggi incontestualizzabile e imparagonabile è un rischio che potrebbe trasformare il territorio comunque vissuto dal ragazzo in peggio, e difficilmente in meglio; la marginalizzazione porta all’esclusione, e l’esclusione porta allo squilibrio, che a sua volta porta all’instabilità che, giunta al punto di rottura, spesso sfocia nel disagio più variegato.

Questo ovviamente non capita solo alle famiglie con un passato recente da migranti alle spalle, ma anche alle famiglie con profonde radici genealogiche nel terreno italico; tuttavia la privazione di un’apparente equità scolastica attraverso l’obbligo del massimo profitto per i richiedenti cittadinanza non farebbe che aumentare il divario, evidenziando le differenze e generando un clima negativo sia dal punto di vista scolastico che dal punto di vista sociale in proiezione futura.

 

 

Le perplessità morali che lasciano questi emendamenti possono e devono essere considerate soggettive. Ciò che tuttavia non è da considerare soggettivo è il dato sulla composizione demografica di questo paese, diversa da vent’anni fa, e pertanto portatrice di novità: il numero di cittadini stranierei in Italia è quadruplicato rispetto al 2003, e ora questa fetta di popolazione rappresenta l’8,4% del numero totale di abitanti.

Tutte queste persone hanno trovato nell’Italia la seconda possibilità rispetto ad una vita che in molti casi sarebbe stata caratterizzata per tutto il suo corso da carestie, guerre, giunte militari e gruppi terroristici; nella seconda possibilità molti di loro si sono sentiti sicuri di poter iniziare effettivamente a costruire una famiglia o a far arrivare la loro dalla terra natia.

Questo dato ci mostra l’incontrovertibile evoluzione nella composizione del Paese e, che la si accetti o meno, questa trasformazione è già avvenuta e continua ad avvenire ogni giorno; considerarla unicamente dal suo punto di vista negativo, ovvero quello della sicurezza interna, è un errore di proiezione che rischieremo di pagare caro in futuro.

Abbiamo una generazione di ragazzi pronti a rimpinguare la base della piramide dell’età del nostro Paese, la quale mostra senza dubbio, e in maniera didascalica, che siamo un paese che non cresce più, un paese dove i figli vengono considerati come un peso su carriera e tranquillità invece che come una preziosa risorsa futura per la famiglia e per la collettività.

Le politiche degli ultimi anni, con tagli alla scuola e alla ricerca, hanno accelerato il fenomeno della fuga di cervelli; oggi con questa bislacca strategia politica della Lega potremmo generare un processo di divisione sociale a partire dal periodo scolastico.

 

 

Il dibattito dev’esserci, e dev’essere affrontato con la serietà che merita un discorso politico sull’essenza dell’essere Italiani, ma la serietà, così come la lungimiranza, sono spesso merce rara nella aule della politica italiana, dove oggi prendono o bloccano decisioni partiti composti da uomini che vent’anni fà sputavano metaforicamente sull’identità collettiva del Paese.

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