Ci sono videogiochi che si affrontano dall’inizio alla fine, ed altri dove gustare l’esperienza con tranquillità è meglio dell’obiettivo stesso.
Il tempo ha i suoi battiti, i battiti hanno il loro ritmo. Noi, sempre pieni di impegni ed ansie, ne perdiamo spesso la cognizione e non riusciamo a starne al passo. Così Shenmue arriva a ricordarci che gli eventi accadono anche quando restiamo fissi a guardare un orologio che col suo incedere regolare scandisce la giornata, da quando ci svegliamo fino a quando torniamo a dormire. E non si ferma neanche allora, perché spesso succede qualcosa anche quando non ne siamo testimoni diretti.
Figlia di un ambiziosissimo progetto nato su Sega Saturn e cancellato a causa delle scarse vendite e dei limiti tecnici della console, la pietra miliare di Yu Suzuki vede la luce alfine nel 1999 sul Dreamcast, che riuscirà anche a fare peggio del suo predecessore. Partendo da un prologo non esattamente originale, in cui il protagonista vuole vendicare la morte del padre avvenuta sotto ai suoi occhi, la storia si svolge nel Giappone del 1986. Letteralmente: il giocatore si trova totalmente calato nella realtà nipponica di quegli anni, pur vivendola dall’interno di un’unica città.
Città che sarà viva, pulsante, vibrante e ovviamente dettata dai tempi precisamente indicati da un orologio perennemente in vista sullo schermo. Prendere l’autobus o entrare in un negozio non sarà possibile al di fuori degli orari di servizio, e le decine di personaggi non giocabili seguiranno le routine quotidiane dettate dalla loro vita. Sarà quindi possibile abituarsi all’ubriacone che a tarda sera passeggia davanti alla sala giochi, o sapere che un personaggio importante lavora di pomeriggio e ama passeggiare al parco la sera. Naturalmente, prestando la dovuta attenzione, si potranno scorgere comportamenti particolari che portano quasi sempre a parti seminascoste della trama o a qualche extra remunerativo in termini di soldi, oggetti o mosse speciali.
Mosse che serviranno nelle scene di combattimento (non troppe, ma è difficile stabilire se sia un male), prese di peso da Virtua Fighter, con dinamiche di controllo simili ma senza i salti lunari del picchiaduro Sega. In alternativa, il gioco propone parecchi Quick Time Event, sequenze simili a laser game in cui premere i tasti giusti al momento giusto e che definiscono spesso questo titolo nella memoria degli appassionati. In realtà anche questi non sono poi tantissimi, ma arrivano perlopiù all’improvviso con conseguenze potenzialmente disastrose, attenuate dalla possibilità di riprovare immediatamente. Scene quindi spiccatamente action, che hanno il compito di far avanzare la trama, di far girare più velocemente quelle lancette per passare oltre, ma che possono essere rimandate a tempo (quasi) indeterminato.
Perché Shenmue è soprattutto girare liberamente, entrare nei negozi a comprare audiocassette, collezionare ossessivamente miniature dalle macchinette automatiche, giocare alle freccette e a riproduzioni fedelissime degli arcade che hanno lanciato Yu Suzuki nell’olimpo del videogioco (titoli come Outrun, Hang On e Space Harrier, mica spiccioli). E ancora, è l’ironia dei dialoghi con alcuni personaggi totalmente secondari, i compiti banali di tutti i giorni, l’affetto per posti e persone che fanno parte della routine. Tutto al nostro passo, sentendoci in dovere di rinviare al giorno dopo i propositi di vendetta verso un nemico crudele e potente perché una giornata nevosa di dicembre è più adatta ad una passeggiata per le strade di Yokosuka che al desiderio di lanciarsi di testa in qualcosa molto più grande del protagonista.
Ma ai doveri, ahinoi, non possiamo sfuggire per sempre, e la trama ce lo ricorda brutalmente, costringendoci a lavorare sodo in modo da accumulare denaro ed entrare in contatto con il nostro nemico. La buona notizia è che i controlli fanno il loro lavoro e rendono l’esperienza passabile, quella cattiva è che senza seguire determinati accorgimenti il numero di ore passate a sgobbare anziché sperperare il nostro capitale in pupazzetti e lattine di bibite cresce esponenzialmente. Il momento in cui quest’incombenza arriva, per giunta, è particolarmente intenso per quanto concerne la storia, e la sensazione che se ne potesse fare a meno fa capolino praticamente subito. Si sopravvive, ma la scelta sembra sbagliata sotto molti punti di vista.
Shenmue è comunque bello, bello da gustare e bello da vedere, meno bello da finire, quasi come una bottiglia di vino. Segue il passo del giocatore e si adatta ai suoi tempi per la maggior parte dell’avventura, e in un mondo caotico fa sempre bene tornare indietro di qualche anno e rivivere la semplicità dell’esistenza di una piccola cittadina incastrata tra tradizione e modernità, tra pace e criminalità. Forse funziona più come passatempo zen che come open world vero e proprio, ma l’esperienza tutto sommato dura il giusto, e la versione Steam include anche il secondo capitolo, che è vitale per dare una giusta conclusione alla narrazione… in qualunque momento vogliate portarla a termine.