La Cina e’ in un periodo di grande trasformazione, e nonostante la censura di regime c’e’ chi ha il coraggio di essere critico.
Lo ammetto: lo Still Life che volevo vedere era un altro, quello inglese del 2013. Poi una serie di errori e confusioni varie mi hanno portato sul divano ad avviare il film sbagliato. Preso dallo sconforto di non vedere volti occidentali, come mi aspettavo, mi sono detto “vabbe’, ormai ci siamo, vediamocelo”. E alla fine ne e’ valsa la pena, per lo meno per vedere qualcosa di atipico rispetto ai nostri canoni.
Still Life ci porta nella valle delle Tre Gole, luogo ove il governo cinese ha deciso di costruire una mega-diga che ha costretto oltre un milione di abitanti a spostarsi forzatamente in altre regioni. La cittadina di Fengjie, teatro della storia, verra’ realmente sommersa da li’ a poco, e la sua demolizione e’ lo sfondo costante della pellicola. Qui seguiamo la storia di due persone, che parallelamente, e senza incontrarsi mai, giungono alla ricerca dei loro cari che non vedono da tempo.
Sono questi i motivi principali del film: la desolazione legata alla rovina progressiva della citta’ e la ricerca costante, anche se con un basso profilo, di un legame spezzato da scelte personali, dalla distanza, dalla poca importanza data agli affetti. Un uomo che cerca la moglie che lo ha lasciato e notizie sulla figlia, ed una donna che cerca il marito, uomo d’affari che la ignora.
Lascia perplessi la freddezza con cui i protagonisti affrontano la vita e le loro problematiche, a meta’ fra il determinato ed il rassegnato (specialmente l’uomo); ma forse e’ un atteggiamento tipico della societa’ cinese, un tratto che non ci e’ familiare. I lunghi silenzi, le pause nei dialoghi, credo siano volti a sottolineare proprio questo aspetto, e ad evidenziare la riflessivita’ dei protagonisti e delle loro scelte… eppure e’ difficile abituarcisi, ed il ritmo risulta complessivamente piuttosto lento – specialmente nei primi minuti.
L’evoluzione delle storie dei personaggi minori e’ quello che da’ veramente colore al film; storie di persone comuni, di umile estrazione, costrette ad evacuare forzatamente, che devono perdere ogni contatto con le loro radici e con i loro amici – i luoghi di destinazione sono assegnati dal governo – tanto che sembra di assistere ad un esodo di profughi di guerra.
La citta’, demolita pezzo a pezzo, distrutta a volte con l’uso di macchine, talvolta da esplosivi, o molto piu’ diffusamente da squadre di operai armati di mazze, sembra un animale morente che piange e soffre per la sua sorte e che ha perso ogni speranza nel futuro, ben conscio del suo destino. In questo contesto la fotografia e’ efficacissima, tanto che senza l’uso di particolari filtri la pervasiva, opprimente e malinconica sensazione che si prova e’ completa.
Le musiche sono fortunatamente quasi assenti, visto che la musica tradizionale cinese fa oggettivamente cacare.
Curiose, anche se talvolte incomprensibili, sono le allegorie onnipresenti nel film; momenti tesi a sottolineare momenti di transizione, cambiamenti, solitudine, incertezza, realizzati con genio, sperimentazione o poca attinenza, a seconda della vostra personalissima percezione. La donna che beve in continuazione a sottilineare il caldo ed il disagio (ma ci va mai a fare pipi’?), un paio di avvistamenti Ufo che lasciano perplessi perche’ completamente avulsi dal contesto della trama.
La regia e’ di Jia Zahangke; i protagonisti sono Han Sanming e Zhao Tao; ed e’ l’unica volta che scrivero’ i loro assurdi nomi. Sulla mancanza di espressivita’ dei protagonisti soprassiedo, tanto si sa che i cinesi sono tutti uguali, no?
In conclusione, questo Still Life e’ un film che probabilmente va visto. Nonostante la lontananza dai nostri canoni metrici, ha parecchia sostanza al suo interno, e ci permette di vedere uno spaccato di vita talmente diverso dalle nostre realta’ occidentali da poterci aprire gli occhi un di un mondo vittima di una espansione incontrollata.