American Beauty: la recensione

È un film di quelli che ti colpisce veramente, e che ti lasciano a riflettere sul significato della vita anche due ore dopo averlo visto.

 

Questa volta sono veramente rimasto soddisfatto. American Beauty non è una semplice commediola all’americana, bensì qualcosa di molto più intenso e significativo. La trama vede il protagonista Lester Burnham, interpretato da Kevin Spacey, nostro idolo ormai dal 1996 (qualcuno ricorda “I Soliti Sospetti”?), risvegliarsi da una quotidianità che lo sta lentamente portando a sprofondare, e cominciare a fare di tutto pur di risollevare la propria situazione e ritrovare la felicità da tempo perduta.

In questo semplice schema si muovono tutti i personaggi della commedia, abilmente ideati per descrivere vari stereotipi della società americana e non solo di quella. Il quadro che ne risulta è veramente realistico ed evidenzia la facilità con la quale, nella vita, si perdano di vista i valori veramente importanti per far posto a tutte le cose che in un modo o nell’altro la società ci impone di avere, come il successo nel lavoro, il denaro, e l’importanza di apparire felici più che di esserlo veramente.

Le figure presenti nel film, oltre a quella del protagonista, sono veramente caratteristiche e tutte essenziali: la moglie impegnata nel lavoro, che ormai non considera più il marito dal punto di vista sessuale, la cui preoccupazione principale a casa è quella di curare al meglio le rose del proprio giardino; la figlia Jane che ha perso ogni contatto vero con i genitori; la sua amica Angela che si vanta di tutti i ragazzi che si porta a letto, e non disdegna neanche di fare un pensierino sul padre della sua migliore amica; la coppia omosessuale che abita nella casa affianco; la strana famiglia che prende il posto dei vecchi vicini, con il padre filo-nazista, la madre dagli strani atteggiamenti e il figlio Ricky, cineamatore, quasi un maniaco della telecamera.

 

 

Detto così alcune immagini potranno sembrare scontate, ma tutto si sviluppa in maniera veramente originale ed ogni personaggio compie dei progressi interiori che, in un modo o nell’altro, lo porteranno a trovare la propria dimensione. Perché credo sia proprio questo il messaggio fondamentale che il film vuole trasmettere: trovate la vostra dimensione, non vi fate accecare da tutto ciò che sembra importante ma che in realtà non fa altro che allontanarvi dalla felicità, perché è la vostra felicità l’unica cosa che dovete veramente cercare nell’arco della vostra esistenza. “Ogni giorno che vi svegliate è il primo giorno del resto della vostra vita, tranne uno: il giorno in cui dovete morire”, dirà la voce fuoricampo di Lester ad un certo punto del film. Il messaggio è chiaro, no?

Per quanto riguarda la recitazione, oltre all’ormai affermato Spacey e alla sempre valida Annette Bening nel ruolo della signora Burnham, spicca, secondo il mio giudizio, Wes Bentley nella parte di Ricky. Sguardo profondo, tipologia ben lontana dai belli di Holliwood modello Brad Pitt (ma comunque affascinante), Bentley interpreta un personaggio leggermente misterioso, un ragazzo di cui si scopre lentamente la sensibilità e la forza e che aiuterà sia Lester che Jane nella loro maturazione interiore; e sarà proprio la sua telecamera che spesso ci offrirà un punto di vista alternativo dal quale osservare le vicende personali del signor Burnham.

La regia, firmata da Sam Mendes, è veramente incisiva e raggiunge sempre lo scopo; il linguaggio è chiaro ma nulla risulta scontato o banale. È un film da godere tutto fino in fondo, e dal quale si può anche imparare qualcosa.

Tutto l’insieme è perfettamente coordinato, dalla storia alla recitazione, dalla sceneggiatura alla regia; raramente un film riesce ad essere così profondo senza diventare banale affrontando il tema più complesso che ci sia: la vita.

 

American Beauty, 1999
Voto: 8
Per condividere questo articolo: