La miniserie di Watchmen tradisce i fan della prima ora: al fascino dei supereroi originali subentra il solito messaggio politico dei nostri anni.
Chi ha amato Watchmen, probabilmente il più maturo ed adulto fumetto di supereroi esistente, ha accolto con piacere l’omonimo film uscito nel 2009. Fedele quasi del tutto all’originale, la pellicola cinematografica faceva uso di tecniche ed effetti speciali di altissimo impatto, in grado di coinvolgere pienamente lo spettatore.
Uscita esattamente dieci anni dopo, la miniserie è un prodotto difficile da valutare ma che di sicuro non colpisce nel segno, piegandosi alle mode ed alle ideologie del momento. Ambientata nel 2000 in Oklahoma (ovviamente nell’universo ucronico proposto dagli ideatori del fumetto), la serie di Watchmen utilizza la stessa struttura del alvoro originale: una nidificazione di frammenti con segmenti di storia diversi e paralleli che tendono ad intrecciarsi, a fornire spiegazioni utili a comprendere altri frangenti, ad arricchire il racconto e la comprensione del “dietro le quinte” da parte dello spettatore.
Quello che però non convince è il racconto stesso di questa serie e la sua mancanza di profondità. Non si può certo pretendere che ogni produzione legata a Watchmen sia sinonimo di perfezione, ma di eccellenza senz’altro. La serie invece presenta una storia che, al netto dello stile narrativo, è non solo piatta, ma fin troppo legata a tematiche semi-ideologiche come quelle che imperano ultimamente nel mondo occidentale.
Se nel fumetto (e nel film) ci trovavamo al cospetto di una vicenda misteriosa, quasi spionistica e che rendeva i supereroi dei fragili reietti, conferendo loro così un’empatica aura tipica degli imperfetti, nella serie ci viene proposta la classica donna alfa di colore, fortissima ed imbattibile, arrogante e volgare nei toni e nei modi (la Regina King di Nemico Pubblico).
Attorno alla sua figura centrale ruotano personaggi vecchi e nuovi. Di questi ultimi solo il vecchio in carrozzina, interpretato da Louis Gosset Jr. (Ufficiale e Gentiluomo, Il Mio Nemico) e l’altro vigilante Specchio (il Tim Black Nelson di Fratello Dove Sei?, The Good Girl, Minority Report, The Big White, I Fantastici 4) sono veramente graffianti. Dei vecchi ritroviamo un Veigt ottimamente interpretato da Jeremy Irons (Mission, Inseparabili, Il Mistero Von Bulow, Die Hard – Duri A Morire, Margin Call, Justice League, House Of Gucci) ma inaccettabilmente cambiato a livello caratteriale (una inspiegabile trasformazione da faro dell’umanità a buffa, grottesca ed umoristica macchietta ombra di se stesso), una Silk Spectre invecchiata fin troppo cinica e sfatta, interpretata da Jean Smart, ed un Dr.Manhattan vandalizzato, poco “dio” ed al quale viene cambiato addirittura il volto ed il colore della pelle per volere di sceneggiatura (interpretato da Yahya Abdul-Mateen II, visto in Aquaman ed in uno dei più brutti e politicizzati episodi di Black Mirror). Ruoli non secondari ma nemmeno così rilevanti vengono affidati a Don Johnson (Miami Vice, Harley Davidson & Marlboro Man, Django Unchained) e Hong Chau.
Se queste fossero le uniche perplessità sulla serie di Watchmen ce la caveremmo menzionando la dozzinalità della produzione e la probabile voglia di monetizzare su di un marchio limpido e finora non scalfito; ma tutta la serie non è che un attacco ai bianchi razzisti e cattivi e un elogio per i presunti oppressi d’America. Purtroppo sembra che Hollywood non sia più capace di trattare alcun argomento, qualunque esso sia, senza infilarci ideologie e bandiere politico-sociali di sorta. La miniserie di Watchmen è in tal senso monotematica, eccessiva, quasi uno slogan. Dave Gibbons, il coautore del fumetto originale, è qui presente in forma di osservatore capo ed è colpevole di non aver vigilato sulla preservazione della grandezza, dell’originalità e del cinismo a 360 gradi dell’originale e soprattutto di aver dissacrato i suoi eroi e antieroi.
Eppure, nonostante tutto questo, non si pùo negare che la serie a suo modo abbia il suo fascino e a suo modo funzioni; e questo probabilmente grazie allo stile narrativo, all’abilità di raccontare questa ucronia in modo maturo (anche se non sempre condivisibile) e con un filo logico nel suo contesto inoppugnabile, ad una fotografia sobria. Insomma, ad un complesso che, preso a se stante, tutto sommato sta in piedi alternando momenti medi ad altri ottimi, tenendo un andamento medio comunque di rispetto.
È per questo che valutare la serie di Watchmen non è facile. Come si fa a non considerare come manchi di rispetto ai suoi protagonisti storici o come sia politicamente schierato, al contrario del fumetto che comunque non risparmiava nulla a nessuno e che proprio per questo si è potuto ergere al pietra miliare del suo genere? La miniserie fa letteralmente imbestialire i fan dell’opera originale, del quale riprende lo stile narrativo ma gli affianca una storia forzata, con un chiaro distinguo fra i buoni ed i cattivi e che sembra addirittura voler rinnegare e bandire quella che probabilmente è la sua migliore creatura, quel Rorschach duro e puro e per questo indomito e inarrestabile.
Per chi è a digiuno dell’opera originale questa miniserie potrà anche piacere (ci sono diversi spunti interessanti, colpi di scena ed interessant intuizioni), ma contestualizzandola con le sue origini la serie di Watchmen è colpevole di essere schierata e lontana anni luce dall’intelligenza e la maestà del fumetto uscito nel 1986.