La guerra fredda e’ stato un periodo storico molto duro da vivere. La paura che le tensioni potessero sfociare in un conflitto mondiale era presente in ogni aspetto della vita quotidiana, figurarsi nella cinematografia.
L’alba rossa del titolo e’ quella in cui truppe russe e cubane invadono gli Stati Uniti, un attacco a sorpresa con armi convenzionali che coglie impreparato l’apparato militare USA e che vede i rossi avanzare rapidamente all’interno del territorio americano.
I protagonisti della storia sono un gruppo di ragazzi di liceo che, dopo essere sopravvissuti all’attacco alla propria cittadina da parte di paracadutisti nemici, si rifugiano sui monti prima in attesa di notizie e poi cercando di organizzare una forma di resistenza armata.
Il film, diretto dallo stesso John Milius di Un Mercoledi’ da Leoni e di Conan il Barbaro, alterna momenti di tensione, di adrenalina, di rabbia, di maliconia a seconda dello svolgersi degli avvenimenti. L’enfasi e’ posta sul senso di difesa della patria, della crescita personale dei componenti del gruppo che in pochi giorni devono giocoforza passare da semplici adolescenti ad adulti che giocano ogni giorno al gioco della morte. Ma che sia chiaro: il taglio non e’ quello del racconto melenso, anzi; gira tutto intorno alle azioni di guerra, agli scontri a fuoco, alle imboscate.
Peccato che queste scene, che sono la maggioranza, avrebbero potuto essere piu’ realistiche se girate con un piglio diverso, piu’ attento ai particolari, magari con qualche consulente di spessore. Impostare scene dove intere squadre vengono fatte a pezzi perche’ i soldati sono tutti ammassati l’uno sull’altro significa non avere alcun concetto (e rispetto) dell’addestramento e delle tattiche militari degli ultimi 100 anni. Ci sono alcuni passaggi che sono davvero poco accettabili (tutti nell’ultima parte del film), ma complessivamente la storia regge bene.
Ci sono invece salti temporali e di sceneggiatura piuttosto bruschi, e talvolta non si capisce bene cosa sia successo fra una scena e l’altra. Probabilmente curando maggiormente questi aspetti avremmo avuto un’opera mastodontica, visto che gia’ cosi’ il film dura due ore, ma almeno si sarebbe resa giustizia alla storia. Gli stessi dialoghi sono spesso aridi, forse una scelta indirizzata al voler evidenziare l’alienazione dei protagonisti dovuta al loro isolamento dal mondo esterno, ma anche qui c’e’ qualcosa che stona.
Interessante il fatto che vengano spesso inseriti dialoghi fra soldati delle forze occupanti, quasi a far capire che in fondo la guerra la dichiarano i potenti, ma a viverla, a soffrirla, a lasciarci la pelle sono ragazzi in tutto e per tutto simili a prescindere dagli schieramenti. Alla stessa maniera, molti aspetti della storia (le motivazioni della guerra, chi abbia cominciato, i risvolti internazionali) sono volutamente nebulosi, per evitare di puntare il dito contro l’una o l’altra nazione.
Nel cast figurano elementi di rilievo, al tempo alle prime armi, ma che poi si affermeranno ad Hollywood in qualita’ di attori di prima classe: su tutti Patrick Swayze (Point Break, Dirty Dancing) e Charlie Sheen (Wall Street, Hot Shots!), ma anche Jennifer Gray (Dirty Dancing), Lea Thompson (Ritorno al Futuro) e Christopher Thomas Howell (Soul Man). In alcune scene i personaggi risultano complessivamente acerbi nella recitazione, ma nel contesto siamo su livelli piu’ che accettabili anche da parte dei personaggi secondari.
Il film complessivamente e’ una buona visione. Non e’ invecchiato molto bene, ma va sicuramente visto sia per comprendere da dove arrivino certi odierni sentimenti statunitensi, sia perche’ come film di guerra non e’ brutto; e poi e’ stato un faro per molti adolescenti, non solo americani, negli anni piu’ oscuri dello scorso secolo.
Molto interessanti alcuni retroscena del film, che svelano particolari che quadrano dopo aver visto il film.