I primi Black Sabbath

La vera essenza della musica.

 

 

A volte parlando di musica ci si pone una domanda: perché molte canzoni di oggi non lasciano gli stessi segni e non hanno lo stesso impatto dei grandi brani di una volta? E soprattutto, perché capita spesso di trovarsi ad ascoltare molto di più le vecchie canzoni rispetto alle nuove hit del momento, che vengono quasi dimenticate dopo qualche mesetto? Di solito discorsi del genere si sentono quando si parla di fenomeni musicali effimeri di oggi, come i gruppi pop o dance che hanno una durata media inferiore ai tre o quattro anni e che campano sul successo bruciante di pochi pezzi “studiati” ad hoc per il momento. Ma questa è una faccenda trita e ritrita, oltre che ovvia e scontata, per i due generi musicali commerciali per eccellenza, quindi non vale la pena spenderci sopra ulteriori parole.
Il problema però si ripresenta, anche se in maniera molto minore, pure nel campo rock-metal. È innegabile il grande successo che continuano ad avere gruppi come Angra, Stratovarius e Blind Guardian in campo power, o l’indiscussa maestria nel progressive dei Dream Theater. Anche nei campi più duri molte altre band continuano a sfornare grandi album, vedi il thrash, con The Gathering dei Testament o gli ultimi lavori degli Slayer (leggi anche Slayer – War Ensemble); per non parlare dell’estremo che continua a navigare alla grande con le uscite dei suoi gruppi di punta (Dark Tranquillity, In Flames…). Tra l’altro, avremo il nuovo album dei redivivi Metallica che dovrebbe uscire ad inizio giugno. Ebbene sì, li credevamo morti o magari entrati nei quadri dirigenziali di MTV ma, a quanto pare, assimilata in qualche modo l’uscita del bassista Newsted (sostituito con tale Rob Turjillo) torneranno presto sulla scena e si parla addirittura di un ritorno alle antiche sonorità. Vedremo, vedremo…

Comunque, tutti questi generi stanno tuttora vivendo ottimi periodi e sono basati su proprie caratteristiche intrinseche, quindi non sto sicuramente parlando di un calo compositivo, anzi. Quello che mi preme sottolineare, è una caratteristica che si può sentire intensamente in alcuni dischi del passato e che si fatica oggi a riassaporare nelle uscite recenti.

Sto parlando del blues. Una full immersion nei primi cinque dischi dei Black Sabbath è una vera e propria riscoperta degli albori del genere musicale duro. Può sembrare una frase stupida, visto che proprio loro sono stati un po’ i padri fondatori del metal, ma nei loro primi lavori si possono assaporare cose splendide, oggi assai rare. I Sabs hanno creato il loro sound inimitabile proprio appesantendo e incupendo il loro blues originario e questa miscela non solo non ha perso colpi in tutti questi anni, ma riesce ancora a dare grandiose emozioni. I riff e gli assoli blueseggianti di Iommi sono deliziosi nella loro semplicità e immediatezza. Colpi di genio che il grande chitarrista ha saputo modulare e modificare di disco in disco per regalarci momenti musicali immortali.

 

 

Iommi riusciva a tenere abilmente testa ai grandi virtuosi di quegli anni (Jimmy Page, Ritchie Blackmore…) con cose forse più semplici ma che erano, e sono, in grado di entrarti nelle vene quando le ascolti. Anche Butler e Ward hanno dato grandi prove e si possono citare innumerevoli gemme nei primi cinque dischi del quartetto di Birmingham. Che dire del riff finale di Black Sabbath, del delizioso basso in Evil Woman e del capolavoro di improvvisazione nella lunghissima The Warning. Momenti davvero incredibili se paragonati alla “freddezza” di oggi. Attenzione, dico “freddezza” non per denunciare una qualità scarsa. Ripeto che non faccio una critica alle produzioni odierne (lungi da me criticare i grandi Stratovarius ad esempio) ma è innegabile che il feeling che davano certe composizioni resta memorabile e ormai lontano. Anche i brani meno conosciuti riservano autentiche gemme, vedi i cambi di tempo di Hand Of Doom, la strumentale Rat Salad e la clamorosa Under The Sun, uno dei loro brani migliori secondo me.

In tutto questo classicheggiare, Iommi riesce a non stonare anche quando inserisce elementi progressive gia da Vol. 4 (Wheels Of Confusion) e soprattutto in Sabbath Bloody Sabbath. In questo quinto album soprattutto, le tastiere sono molto più presenti ma mai sopra le righe e mai a soffocare l’essenza del misto blues-rock-hard che contraddistingue quei capolavori.

Insomma, tutte composizioni basate su riff piuttosto semplici che, bisogna dirlo, a volte potevano anche somigliarsi, ma a dimostrazione che l’anima blues in un pezzo può renderlo penetrante più di qualsiasi virtuosismo. A partire dagli anni ’80, la nuova ondata di metal ha ridato vita a un genere che stava morendo, anche negli ultimi lavori dei Sabbath vedi Technical Ecstasy e Never Say Die, ma forse ha un po’ cancellato uno spirito di cui oggi si sente un po’ la mancanza. Anche per un 26enne come me, venuto su con il cattivo Killers dei Maiden, riscoprire il blues originario è stato una nuova folgorazione e quelle sonorità si sono radicate in me ormai indissolubilmente. I dischi dei Black Sabbath a partire da Heaven & Hell hanno portato un nuova linfa utile al genere, ma che ha dato anche una spinta in fuori ad un’anima musicale oggi difficile da riscoprire. Certo, le cose belle sono fatte per finire… in fretta… (dannazione…) e c’è da rammaricarsi, ma proprio per la grandezza di quelle produzioni, oggi mi basta far partire Sabbra Cadabra per ricominciare a bruciare…

SABS FOREVER!

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