Un appassionante tuffo nel medioevo fantasy di Berserk.
Berserk è una parola che secondo le leggende sembra derivare da Berserker, antico vocabolo del nord Europa indicante i guerrieri invasati dallo spirito di un dio o di un animale totem. Kentaro Miura ci trasporta in un’epoca oscura ed angosciosa, dominata dal sistema feudale, in cui regni ed imperi si succedono in un tripudio di guerra, sangue e mutilazioni, un’epoca in cui la crudeltà dei cavalieri in battaglia è seconda solo alla durezza delle loro corazze ed al filo delle spade. In questo mondo parallelo (che potrebbe dirsi simile ai nostri secoli XII e XIII) è molto diffuso, presso signori e signorotti, l’uso di assoldare truppe mercenarie, mentre la vita dei villani è soltanto un impiccio sul cammino delle cavallerie pesanti dei vari eserciti.
Non poteva mancare il richiamo al potere temporale dei rappresentanti del Sacro: Miura ci fa intravedere, in due punti distinti, l’esistenza di una Curia e di una religione, presumibilmente modellata sulle nostre fedi monoteistiche, nonché di uffizi, episcopati e commissioni più o meno sante.
Su questo sfondo di morte e violenza, con tratto da maestro, l’autore affresca la mostruosa e prodigiosa storia di Gatsu, destinato a diventare il Guerriero Nero poiché nato da un cadavere appeso ad un albero (la madre cadde vittima di uno dei tanti saccheggi di guerra, non sapremo mai chi fosse) e cresciuto in mezzo alla schiuma della canaglia mercenaria, avvezzo solo all’uso della spada e a non fidarsi di nessuno, nemmeno della sua ombra.
L’Ombra, quell’Ombra della morte che segue dunque Gatsu sin dal suo primo vagito e che, come un cane fedele, non lo abbandonerà mai, consentendogli di diventare un guerriero micidiale, affatto privo di tecnica e dotato di una forza smisurata, temprata dal sangue di innumerevoli avversari, che hanno visto, come ultima immagine prima dell’Abisso, la propria faccia stravolta dal Terrore riflessa sulla Lama di Gatsu, che ormai è noto sui campi di battaglia col nome di “Massacratore”.
Storia mostruosa e prodigiosa dicevamo, ed i prodigi cominceranno quando Gatsu avrà la ventura di imbattersi nella truppa mercenaria di Grifis, il Falco Bianco, giovane di immenso valore militare e sagacia tattica, divorato da un’ambizione senza fine che si alimenta solo col progresso verso la Meta Finale, visualizzata nell’immagine del Castello del Signore che il bambino Grifis sognava, nei suoi giochi infantili, di raggiungere e possedere.
Ma la scala per arrivare al portone del Castello è lastricata solo di cadaveri e battaglie, di compagni sacrificati sugli altari dell’Ambizione, del Sogno: Grifis è la torcia che accende gli animi di tutti i comprimari della storia; Caska, l’affascinante guerriera che ne è segretamente innamorata; Judo, maestro nel lancio dei coltelli; Pipin, enorme ex minatore dalla severità immutabile; e, appunto, Gatsu il Massacratore, comandante delle Truppe d’Assalto della Squadra dei Falchi.
Grifis si spingerà sempre più alto, sostenuto dalle ali del suo Sogno e dal sangue di nemici e compagni, entrerà nella nobiltà del regno di Windom, otterrà la trasformazione della sua truppa in ordine cavalleresco ed infine anche il cuore della giovane figlia del Re.
Ma il destino del Falco Bianco è un altro: alla caduta in disgrazia per aver ceduto alla libidine verso quel fiore che avrebbe potuto cogliere a tempo debito segue una tortura lunga un anno, la mutilazione, l’invalidità. Le ali del Falco sono spezzate? Il suo sogno infranto? I suoi compagni destinati ad una vita fuggitiva, sempre braccati dagli sgherri del Re? Niente affatto! Altri occhi, occhi non umani, hanno posato il loro sguardo distaccato sul Re dei Desideri e già cospirano per innalzarlo agli onori dell’Inferno, grazie ad un orrendo sacrificio.
Ho volutamente sintetizzato espungendo molti indizi dalla Storia, allo scopo di non rovinare il piacere del lettore che per la prima volta si avvicina a questo grande romanzo di immagini, nella scoperta delle infinite minuzie che costituiscono l’arsenale di Miura: disegni, realismo (laddove la scena lo richiede), tecnica delle armi, ricostruzione delle armature, abiti, attrezzi del contado, villaggi, castelli, costumi di Corte, tutto è disegnato con dovizia di particolari e non senza una certa puntigliosità, pur nell’evidente sincretismo diacronico, inevitabile in un manga, che l’autore riesce a contenere in limiti dignitosi, almeno per chi non si intenda di storia del costume. Ma non basta: il nostro è anche sceneggiatore di prim’ordine e la storia di Gatsu prende, di volta in volta, il tono della tragedia e della commedia, secondo i registri che Miura decide di toccare, sempre con estrema maestria ed eleganza, attraverso il coacervo, ora potente come un maglio, ora sottile come le piume d’un volatile, di parole e disegni, una mistura così forte che, in certe scene, sembra quasi di sentire lo scalpiccio dei cavalli, parati a battaglia, o il cozzare delle armi o, ancora, le urla disumane dei Demoni.