Giorgia Meloni ha affermato che bisogna prioritizzare il contrasto alle partenze piuttosto che concentrarsi solo sui salvataggi in mare; è effettivamente una possibilità?
La strage dei migranti di Crotone è una ferita che probabilmente rimarrà per sempre aperta nelle menti dei naufraghi scampati alla violenza del mare; a rimanere aperta però (come dopo ogni disastro umanitario) è anche la questione sulle responsabilità che si celano dietro questa tragedia, e lo scarica barile fra UE, Governo italiano e paesi di partenza dei migranti sembrerebbe essere l’ennesimo dibattito sterile figlio della situazione e non della volontà di agire.
Il Premier Meloni in merito alla questione ha affermato che l’unica possibilità effettivamente umanitaria è l’impedimento dei viaggi in mare dei migranti da tutti quei paesi individuabili come hub di partenza delle rotte migratorie marittime: Libia, Egitto, Turchia, Algeria, Tunisia per citarne alcuni.
Sul blocco delle partenze il premier italiano ha sollecitato l’intervento e l’aiuto dell’UE in quanto ha più volte affermato, anche precedentemente la sua elezione, che quello della migrazione è un problema risolvibile e gestibile solo nel caso in cui venga trattato a livello transnazionale.
Vista la qualità e la quantità di strutture ricettive presenti in Italia, certamente è verosimilmente impensabile pensare di poter gestire i flussi migratori mediterranei contando unicamente sulle proprie forze e sui propri mezzi nazionali; ciò che tuttavia sembra trasparire dalle parole del Premier Meloni è anche la difesa politica del suo Ministro Piantedosi e del suo Decreto, in chiaro contrasto con le operazioni SAR (search and rescue) delle navi ONG.
Con buona probabilità la volontà di sostenere questa manovra deriva proprio dalla conoscenza dell’attuale stato in cui versa tutto il comparto dell’accoglienza italiana, a partire dagli Hub fino ad arrivare alla fluidità burocratica, e dalla conseguente impossibilità di garantire procedure e scenari sicuri sia per i migranti che per i cittadini.
Il contrasto all’operato delle ONG, la volontà di operare sulla politica interna di stati terzi e il conseguente semi-perenne dibattito fra governi nazionali e istituzioni europee genera una situazione catastrofica per i migranti; queste persone infatti riescono comunque a salpare illegalmente su imbarcazioni fatiscenti, e una volta in mare sono abbandonati a se stessi e alla volontà di quest’ultimo, senza nessun aiuto esterno.
Ovviamente non è auspicabile pensare di poter giungere a una soluzione del problema in maniera univoca e immediata, ma il contrasto alle partenze potrebbe non essere l’unico elemento che possa portare ad una soluzione del problema, in quanto sintomo ma non causa di un momento di un fenomeno più esteso: quello che affonda le sue origini nell’instabilità di un continente causate in parte dalla volontà europea di fine 800 di impossessarsene geograficamente e culturalmente.
Ciò che andrebbe intrapreso è probabilmente l’attuazione di una serie di corridoi umanitari sicuri, controllati e censiti, e quindi in grado di gestire flussi migratori importanti grazie ad una cooperazione equa e pianificata dei paesi più sviluppati dell’Unione europea; questi corridoi non devono essere la soluzione definitiva, ma un tramite temporaneo finalizzato alla salvaguardia di quante più vittime civili possibili, la cui unica colpa pare essere quella di essere venuti alla luce dalla parte sbagliata del mare.
La vera soluzione a cui dovrebbero puntare i più importanti attori statali internazionali è la stabilizzazione delle varie criticità politiche africane e mediorientali, un obiettivo che tuttavia andrebbe perseguito con delle mire indirizzate unicamente allo sviluppo di quell’area e perciò prive di dinamiche pseudo imperialistiche, caratterizzate da tornaconti e privilegi per il proprio paese.
L’UE dovrebbe sostenere il processo democratico dei paesi più sottosviluppati e con all’interno guerre civili destabilizzanti per l’ordine, la politica e l’economia, magari anche attraverso interventi umanitari diretti, soprattutto in quei paesi privi di processi democratici, governati da giunte militari o da figure politiche interessate all’arricchimento personale piuttosto che al benessere del paese, come la Repubblica Centrafricana o la Repubblica Democratica del Congo.
La risoluzione di questa faccenda dunque potrebbe essere un aiuto consistente per il raggiungimento della democrazia in alcune aree del mondo, concedendo nel frattempo ai civili di quei paesi la possibilità di allontanarsi in sicurezza da un’area che non gli permette di lottare per il proprio futuro; contrastare le partenze senza contrastarne le origini infatti sembrerebbe essere solo un esercizio di incapacità.