Il ponte sullo stretto: vantaggio strutturale o specchietto per le allodole?

Il ponte sullo stretto pare essere l’anello mancante di una fitta rete di trasporti ferroviari continentali; ma è davvero l’unico anello mancante?

 

 

La scorsa settimana il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha incontrato il Commissario UE per i trasporti Adina Valean; l’argomento principale della discussione è stato il ponte sullo stretto e la sua fattibilità pratica e soprattutto economica. Il Commissario ha affermato che il ponte era già ipoteticamente incluso nel progetto europeo del Trans-European Transport Network, e che quindi la sua inclusione non è stata discussa; l’incontro infatti potrebbe aver avuto come argomento principale le garanzie, necessità richiesta da ambo le parti per motivi tuttavia diversi.

L’Italia ha bisogno di garanzie economiche per avviare un progetto i cui costi calcolati sfiorano i 4 miliardi, e soprattutto per mantenerne gli elevati costi di manutenzione in caso di realizzazione; l’Unione Europea dal canto suo ha necessità di sapere che quei fondi, se erogati, verrano destinati nei tempi e nelle modalità previste.

 

 

Questi fondi infatti non rientrerebbero negli aiuti comunitari previsti nel PNRR, ma verrebbero erogati in quanto la realizzazione del ponte è considerata strategica per la finalizzazione di uno dei corridoi che andrebbero ad aumentare e ad ottimizzare la rete di trasporti transcontinentale nota come Ten-T, la cui ottimizzazione è prevista entro il 2030 ed è ritenuta fondamentale dell’UE.
Il ministro Salvini è uscito dalla riunione raggiante, affermando che l’Unione Europea è dalla parte del Governo in quanto ritiene particolarmente strategica la realizzazione del ponte per migliorare la capillarità della sua rete ferroviaria, e  per il superamento del gap infrastrutturale fra il nord e il sud del Paese.

Da oltre 50 anni si parla, si discute e si studia in merito alla possibilità di costruzione o meno del ponte sullo stretto, e al di là dell’elevato sforzo economico che richiederebbe la costruzione di una tale opera ingegneristica ciò che da sempre ha maggiormente destato più perplessità è le geologia dell’area, sfavorevole alla costruzione di un’opera destinata al transito ferroviario e automobilistico.

La Sicilia e la Calabria sono aree ad alta sismicità, e l’area dello Stretto di Messina in particolare ha mostrato in seguito a degli studi geologici e geofisici un complesso sistema di faglie nel suo sottosuolo, un sistema all’interno del quale agiscono più placche tettoniche che si muovono in altrettante direzioni.

Se il problema della sismicità e della complessità geologica può essere superato attraverso il progresso tecnologico dell’edilizia e una costruzione studiata nei minimi dettagli a livello ingegneristico (con un probabile aumento dei costi), ciò che non può essere superato è la condizione delle sistema ferroviario attuale in Calabria e in Sicilia, e più in generale in tutto il Mezzogiorno italiano, seppur con le dovute eccezioni.

 

 

La Sicilia, ideologicamente l’hub iniziale e finale delle merci che dovrebbero transitare sul Ponte, è una delle regioni europee con il più basso tasso di linee ferroviarie in relazione all’ampiezza del territorio; a causa degli smantellamenti degli anni 50 ci sono intere aree dell’Isola completamente prive di collegamenti ferroviari, come la zona sud della provincia di Enna o il tratto costiero che va da Castelvetrano ad Agrigento e fino a Licata.

Le attuali linee ferroviarie sono quasi tutto a binario unico, solo una tratta complessiva di 222 chilometri presentano un doppio binario, e solo la metà di queste sono elettrificate; i treni sono risalenti per la maggior parte agli anni 70, e la velocità massima in lunghi tratti è fissata sotto i 100km/h. Si tratta di una serie di problematiche che hanno immobilizzato le ferrovie siciliane in un’altra epoca.

Se ci dovesse essere un ponte cambierebbe qualcosa nell’ottimizzazione della circolazione delle merci? Probabilmente no, perché seppure con maggiore velocità le stesse merci, una volta raggiunta la Sicilia, si vedrebbero la strada nuovamente rallentata e tutto il vantaggio infrastrutturale raggiunto e lo sforzo economico fatto andrebbero perduti.

 

 

Spesso i Governi italiani nel corso della storia hanno approcciato il sud cercando di edulcorarne l’arretratezza con opere sensazionalistiche dall’alto potenziale attrattivo; oggi potremmo di nuovo essere in procinto di correre quel rischio, e magari lo saremo anche domani: finché il sud avrà la capacità e la voglia di resistere a dei goffi tentativi di rianimazione senza pretese probabilmente ci prenderemo quel rischio.

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