Lo “Sparviero” non è rientrato: il drammatico incidente dell’S.79 M.M. 23881

Il tragico incidente di un aerosilurante italiano svanito nel deserto libico nel 1941, scoperto ed indagato dai pionieri ENI vent’anni dopo.

 

 

È il 21 luglio 1960, siamo in Cirenaica, tra le dune dell’Erg di Giarabub, immersi in sabbie bagnate prima dal sangue durante la guerra ed ora dal petrolio. Una Fiat Campagnola affronta le dune con procedere incerto. A bordo tre uomini: il geologo Gianluca Desio – figlio del grande geologo ed esploratore Ardito Desio – il topografo Eugenio Vacirca e una guida locale. Intorno a loro il nulla, finché qualcosa non spezza la monotonia di quella infinita distesa di sabbia; è un uomo, o meglio i suoi resti. Si trova supino, per metà coperto dalla sabbia, la parte esposta è ridotta a scheletro, il resto è mummificato; indossa una tuta da aviatore a cui sono strappati i gradi e una cuffia in cuoio da aviere. Ai piedi niente scarpe ma lo avvolgono degli stracci neri. I tre uomini increduli esaminano meglio il corpo e l’area circostante. Rinvengono: un binocolo militare (x8), un orologio e un cronometro, pagine di giornali italiani e tedeschi, una borraccia d’alluminio, una pistola lanciarazzi Very con alcuni bossoli esplosi e una grossa e pesante bussola d’aereo impostata sul nord. Ma tra tutti è un oggetto ad attirare l’attenzione: una chiave con una targhetta metallica sulla quale si legge “S.79 M.M. 23881, n. cert. 263, Data collaudo, chiave portina d’accesso Reggiane”.
Nella mente dei tre uomini le domande si accavallano, eppure la sorpresa è limitata: erano già alla ricerca di qualcosa, ma cosa? E soprattutto, che ci facevano nel deserto?

 

Una Campagnola militare della CORI (Foto: Alberto Casubolo) – Campo CORI – I resti di Giovanni Romanini

 

Nel 1960 la Libia, all’ombra del suo passato coloniale, è preda delle grandi corporazioni petrolifere che vi allungano le mani per sottrarle il suo potenziale energetico. Il 16 novembre del 1959, Enrico Mattei riesce con un accordo a conquistare un lembo di terra grande quanto la Sicilia: si tratta della Concessione 82. L’idea di Mattei, in controtendenza con il cartello del petrolio, è di avviare delle estrazioni i cui benifici vadano in parità alla Libia quanto all’Italia. L’AGIP, attraverso una consociata, la CORI (Compagnia Ricerche Idrocarburi), incomincia delle prospezioni petrolifere, e sono tanti gli uomini che collaborano al progetto. Tra questi Claudio Sommaruga, responsabile dell’esplorazione petrolifera che, nel 1960 viene a sapere da un geologo della BP di un relitto aereo. L’inglese l’ha visto sorvolando la Concessione in aereo e, non avendo saputo riconoscerlo tra quelli Alleati, presume si tratti quindi di un aereo italiano o tedesco.

 

Il ritrovamento dello “Sparviero”. Visibile sull’elicottero di Pasquale Bartolucci il cane a sei gambe dell’AGIP (Foto: Franco Farina) – Il relitto (Foto: Franco Farina)

 

È così che Sommaruga allerta gli altri pioneri al campo e tra tutti dilaga la curiosità. I tre uomini erano quindi alla ricerca del relitto, ma hanno trovato altro. Forse però la pista è quella giusta. La guida locale dispone per la corretta esumazione della salma e Vacirca e Desio redigono un verbale poi consegnato alle varie autorità. Contattano il consolato di Tripoli spiegando il rinvenimento e chiedono chiarimenti riguardo la matricola sulla chiave. Stabilita una comunicazione con Roma, è dal Ministero della Difesa che arrivano le prime risposte ai loro quesiti: il codice corrisponde alla matricola di un aerosilurante dichiarato disperso nel 1941, ben diciannove anni prima. Cosa ci faceva quindi questo aviere di aerosilurante a 400 chilometri dal mare? Il destino è imprevedibile e farà sì che i nostri tecnici conoscano il capo scalo dell’Alitalia a Tripoli, che aveva prestato servizio come aviere nella 278ª Squadriglia Aerosilurante, e ricordava la vicenda di un aereo non rientrato in base, confermando quanto appreso poc’anzi.

 

In alto a sx: Vista dal basso dell’ala destra sotto cui furono trovati i resti di un aviere, visibile la livrea mimetica e lo stemma della Regia Aeronautica – In basso a sx: I comandi, evidente la cloche spezzata – A dx: La mitragliatrice dorsale, ancora funzionante (Foto: Alberto Casubolo)

 

I pioneri lavorano sodo per risparmiare del tempo da dedicare alle ricerche del relitto, ma è solo il 5 ottobre 1960, che il capo pilota della CORI Pasquale Bartolucci, a bordo di un elicottero Agusta Bell 47 J, intravede nel deserto una sagoma a lui familiare: il relitto semi sommerso dalla sabbia di un S.79, lo stesso aereo che egli stesso pilotava durante la guerra; non poteva sbagliarsi.
Il Savoia-Marchetti 79, chiamato anche Sparviero, era un veloce trimotore progettato negli anni trenta e in uso nella Regia Aeronautica come bombardiere medio fino ai primi anni del dopoguerra. L’apparecchio è stato il più diffuso ed impiegato nella sua categoria, in uso sia contro bersagli di terra che di mare caricando bombe o siluri.
Bartolucci, una volta atterrato lo esamina. Lo Sparviero mostra evidenti i segni di un durissimo schianto: i tre motori sono staccati e ribaltati, i carrelli, aperti per l’atterraggio, sono rientrati con violenza tanto che i martinetti hanno trapassato le ali. I motori dovevano ancora funzionare all’atterraggio in quanto le eliche sono piegate per il movimento nella sabbia. Tuttavia le condizioni del relitto sono molto buone, la carlinga è ben preservata tranne per le parti in tela, consumate dal tempo fino a dissolversi.
Il ghibli, la sabbia e il sole hanno lavorato la vernice rivelando il metallo vivo sottostante, ma si intravede ancora in qualche punto: sotto le ali parte della livrea mimetica e tre fasci bianchi in campo nero (il riconoscimento degli aerei italiani durante la guerra). Sulla fiancata si può perfino leggere l’identificativo dell’aereo 278-3, appartenuto quindi alla 278ª Squadriglia Aerosiluranti, ed all’interno la matricola: M.M. 23881. Tutto coincide, è l’aereo che cercavano!
La mitragliatrice dorsale, una Breda-Safat da 12,2mm, liberata dalla sabbia è ancora in perfetta funzione.
Nella cabina i vetri sono intatti, ma macchiati dal sangue, lì così come sulle cloche, che per l’impatto sono perfino spezzate. Al posto del capitano i resti ossei di un aviere con una spalla e le costole rotte: se sopravvissuto all’atterraggio non si sarà più potuto muovere di lì. Sulla fiancata altre ossa rotte di un aviere ferito, evidentemente seduto su un sediolino estratto dall’abitacolo e posto sulla fiancata dell’aereo. L’ultimo aviere è riverso sotto un’ala, forse a cercare riparo dal sole. L’equipaggio era composto di sei persone e se ne contano tre al relitto più l’aviere isolato tra le dune trovato in precedenza. All’appello mancano ancora due membri dell’equipaggio che presumibilmente riposano sepolti sotto le sabbie chissà dove, certamente non scampati ma uniti allo stesso destino dei poveri compagni.

 

In alto a sx: Il recupero dei resti da parte dei pionieri – In basso a sx: I resti ossei trovai sotto l’ala (Foto Alberto Casubolo) – a dx: Vista del fianco destro dello “Sparviero”

 

In seguito tre tecnici libici visitano il sito e prelevano vario materiale poi consegnato al Capo Gruppo Paolo Cardamone al campo LGD1 della Squadra Gravimetrica della Fondazione Lerici del Politecnico di Milano, che lavorava con la CORI. Da tutto il campo i pionieri accorrono increduli della scoperta, cedendo all’emozione nel toccare quegli oggetti così comuni. Dalla relazione sappiamo per certo che hanno prelevato diversa apparecchiatura di volo, due berretti da pilota italiani e la radio. I tecnici analizzando la radio non la trovano in cattive condizioni: è sì guasta ma riparabile in poche ore di lavoro. Magari funzionava ancora al momento dello schianto ed è stato solo il tempo passato nel deserto a metterla fuori uso.
Il sito del relitto diviene da subito luogo di pellegrinaggio da parte dei pionieri CORI, mossi dalla forte curiosità e voglia di scoprire ulteriori indizi che possano dare spiegazione al triste incidente. Si scava attorno al relitto ma il deserto lavora contro: Aristide Franchino, che ricordiamo essere uno dei maggiori contributori della vicenda, visita l’aereo trovando l’abitacolo invaso dalla sabbia. Scavando riemergono delle pagine ormai unite tra loro: è un manuale, si legge “Cifrario Segreto”. L’improvviso contatto con l’aria però lo dissolve letteralmente tra le mani, così come si dissolve la speranza di rinvenire il diario di bordo, unica chiave della vicenda che certamente andrebbe incontro alla stesso destino del Cifrario se ritrovata. Si vede che la sorte di questi uomini dovrà restare avvolta nel mistero.

Solo ad un anno dagli eventi, il 7 aprile 1961, nell’inumare la salma dell’aviere trovato isolato dall’aereo al Sacrario di Tripoli, ci si rende conto che il suo piastrino non era andato perso, ma era nascosto in una tasca della combinazione di volo. Uno degli uomini ha finalmente un nome: Sergente Maggiore Giovanni Romanini, di Parma, classe 1916, armiere. La salma viene resa alla famiglia ed ora trova riposo al Cimitero di Colecchio. Dalle lettere inviate dal povero Romanini alla famiglia abbiamo la conferma degli altri membri dell’equipaggio e suoi compagni di sventura: Oscar Cimolini, Franco Franchi, Cesare Barro, Armorino De Luca, Quintilio Jozzelli.

 

A sx: Giovanni Romanini – In alto a dx: A sinistra Giovanni Romanini prima dell’invio in Cirenaica. Alle sue spalle il nostro Sparviero – In basso a dx: Al centro Oscar imolini a Gorizia, 1941

 

Le domande sono ancora tante, ma forse possiamo unire i vari punti: il 20 aprile 1941, l’aerosilurante M.M. 23881 della 278ª Squadriglia Aerosiluranti atterra all’aeroporto di Berka (Bengasi) da Catania. Il giorno dopo viene avvistato un convoglio britannico a Sud ovest di Creta. Ad una squadra di due siluranti viene ordinato di intercettare le navi: si tratta degli aerei del Tenente pilota Guido Robone ed il nostro, pilotato da Oscar Cimolini. Il nostro aereo decolla alle 17:25, in ritardo di 35 minuti con l’altro silurante per riparare un guasto ai motori. Alle 19:28 Robone intercetta il convoglio, si abbassa alla quota di 80 metri e sgancia il suo siluro con precisione. Al rientro in base alle 21:30 dichiara di aver colpito una petroliera da 8.000 tonnellate. Ma dell’equipaggio di Cimolini non v’è traccia. Sappiamo che Cimolini ha sganciato il suo siluro, forse andato a vuoto, uscendo indenne dall’ingaggio col convoglio.

Teniamo presente che l’equipaggio era arrivato il giorno prima in Africa, non era ancora pratico delle condizioni meteo del luogo e non era abituato ad orientarsi in quelle zone.
Al rientro soffia un forte vento da Nord Ovest, oltre i 100 km/h, e i piloti devono quindi correggere costantemente la direzione. Foschia e nubi di sabbia riducono al minimo la visibilità, senza contare che il sole è già calato. I loro occhi sono sulla strumentazione e l’interpretazione di questa fornisce l’unica immagine del mondo esterno e può essere che abbiano creduto d’essere ancora sul mare quando erano già sulla terra, confondendo le dune con le onde.
Un radiofaro a Bengasi indicava costantemente la posizione e non veniva mai spento, anche quando la città si trovava sotto bombardamento e la corrente veniva interrotta c’era un gruppo elettrogeno che forniva energia alla stazione radio. Non è chiaro se la radio di bordo fosse guasta, ma l’ipotesi più accreditata è che lo fosse, oppure, ma è poco credibile, che abbiano invece seguito un radiofaro inglese nell’appena conquistata oasi di Giarabub.




Eccezionale filmato degli anni ’60

 

L’idea quindi è che i piloti del trimotore non abbiano corretto a sufficienza la deriva del vento, allungandosi magari anche ad evitare Tobruk, in mano agli inglesi, e la linea del fronte. Lo Sparviero poi ha proseguito nella direzione sbagliata per un’ora o due penetrando a sua insaputa sempre più nel cuore del deserto, finché il carburante non è terminato. A bordo non lo sanno ma sono a 485km da Bengasi e quindi dalla costa. Verso le 22-23 di sera devono tentare al buio l’atterraggio di fortuna con la poca autonomia rimasta. Aprono i carrelli, ma l’impatto è durissimo, e rientrano violentemente nelle ali. L’aereo striscia proiettandosi tra le dune, le eliche scavano nella sabbia finché i motori non si liberano dagli alloggi.

Quando il trimotore frena la sua corsa sulla sabbia, la situazione a bordo è tragica: il Capitano Pilota Oscar Cimolini è presumibilmente morto sul colpo o immobilizzato sul sediolino, anche gli altri sono in gravi condizioni. L’armiere Giovanni Romanini in coda all’aereo è l’unico rimasto illeso. Persi nel deserto e con la radio fuori uso devono cercare aiuto; l’unico che può tentare la traversata del deserto è Romanini. La bussola dell’aereo, estratta dalla plancia, viene impostata sul nord e gli viene affidata affinché non si perda. Si strappa i gradi nel caso lo catturino e con una borraccia da mezzo litro e una pistola di segnalazione affronta il deserto ed il destino. Forse con lui anche un altro uomo rimasto chissà dove. Cammina senza tregua per due giorni, forse tre. Non lo sa, ma sfiora un deposito di acqua e carburante lasciato dal Long Range Desert Group nel mezzo dell’erg di Giarabub (trovato e perfino usato dalla CORI) e continua la folle marcia per 90 chilometri, finché le forze non gli vengono meno. Stremato spara il suo ultimo razzo e si accascia in terra per riposare un attimo, attimo che si allunga sempre più, cedendo infine al caldo abbraccio della sabbia che lo stringerà per 19 anni. Come non poteva sapere del deposito non poteva sapere nemmeno di avercela quasi fatta: ad appena 9 chilometri la trafficata carovaniera Gialo-Giarabub dove qualcuno lo avrebbe forse tratto in salvo.
Al relitto il tempo scorre. Gli altri uomini si riparano come possono dall’opprimente sguardo del sole. Forse non credono che il loro compagno possa mai fare ritorno, ma lo attendono, finché uno alla volta periscono, vinti dalla sofferenza e dalla sete.

 

Mappe del presunto viaggio dello Sparviero e di Romanini

 

Il 23 aprile viene avvertito il comando del mancato rientro di Cimolini ed inviato un verbale a Roma: “Comunicasi che il giorno 21 aprile at ore 17.25 apparecchio S.79 M.M.  23881 partito da Berka seguito ordine comando 5 a squadra aerea per attacco convoglio scortato segnalato quadratino 5881 procedente rotta 105 velocità otto miglia nonè rientrato. Equipaggio costituito da capitano pilota complemento Cimolini Oscar, tenente vascello osservatore Franchi Franco, maresciallo Barro Cesare, sergente maggiore marconista De Luca Amorino, primo aviere motorista Jozzelli Quintilio, primo aviere armiere Romanini Gianni”.

Purtroppo dell’equipaggio vengono rinvenuti solo quattro uomini, e solo ad uno è stato possibile dare un nome. I tre ignoti riposeranno fino al 1972 al Sacrario di Tripoli finché non verranno esumati e trasferiti al Sacrario di Bari. Il relitto non ha saputo regalarci altre vitali informazioni ed ora è vittima del ghibli e dei suoi visitatori, sempre più malmesso, prossimo a svanire. Le sabbie custodiscono la verità ed avvolgono in eterno i corpi degli altri due uomini.

 

 

L’articolo è dedicato all’equipaggio del M.M. 23881, come a tutti gli equipaggi di aerosiluranti italiani che hanno trovato la sorte nel profondo nel mare così come nel profondo del deserto.

 

Cap. pil. di complemento Oscar Cimolini, nato a Trieste il 26/11/1908
Ten. vascello oss. Franco Franchi, nato a Fiume il 11/10/1912
Mar. pil. Cesare Barro, nato a Conegliano Veneto il 16/5/1914
Serg.Magg. marc. Amorino De Luca, nato a Frascati il 7/2/1915
Serg.Magg. arm. Giovanni Romanini, nato a S. Paolo (Parma) il 28/10/1916
1° av. mot. Quintilio Jozzelli, nato a Pistoia il 5/5/1915

 

Rendiamo anche onore ai tanti contributori, in particolare i pionieri della CORI: è grazie ai loro sforzi e la loro determinazione che questa storia, seppur parziale, è venuta alla luce, dando pace alle famiglie e alle madri degli sfortunati avieri. Ringraziamo sia per l’impegno attivo alle ricerche che per i reportage documentali e fotografici: in ordine sparso Claudio Sommaruga, Pasquale Bartolucci, Gianluca Desio, Eugenio Vacirca, Franco Farina, Aristide Franchino, Paolo Cardamone, Alberto Casubolo, Filierto Fabbri e molti e molti altri.

Per condividere questo articolo: