Nucleare: ha senso la costruzione di nuove centrali?

La nuova spinta verso la realizzazione di centrali nucleari è probabilmente fuori tempo massimo pur considerando la recente crisi energetica. Ma ci sono alternative?

 

 

Uno dei cavalli di battaglia dei due partiti minoritari che formano il governo Meloni è la realizzazione di centrali nucleari sul suolo italiano. Salvini ne ha fatto un suo mantra durante la campagna elettorale, ma non è stato certo l’unico in questi mesi ad identificare nel nucleare la soluzione ai nostri problemi di approvvigionamento energetico: il Ministro alla Transizione Ecologica del governo Draghi, Roberto Cingolani, ha indicato da tempo la necessità di tornare a parlare di nucleare.

La motivazione principale è che il nucleare ci aiuterebbe a renderci parzialmente autonomi nella produzione di energia elettrica, ed i rischi legati agli impianti di nuova generazione sarebbero minimi, sia per come questi vengono realizzati sia per il fatto che abbiamo già impianti simili ai nostri confini.
Ma sono affermazioni corrette?

 

 

Il punto principale è che alla mancanza di gas russo occorre trovare una soluzione oggi, nell’immediato; e questo il nucleare non lo consente. Per realizzare un impianto di terza generazione occorrono non meno di 10 anni fra studi, autorizzazioni, costruzione ed avvio del sito produttivo; e questo senza considerare le ovvie ostruzioni che le popolazioni locali metteranno in essere per impedire (o meglio ritardare) la costruzione di una centrale nucleare sul proprio territorio. Le centrali nucleari di terza generazione sono piuttosto costose, ed anche se hanno il merito di puntare alla sicurezza (sono state ideate dopo Chernobyl) non sono in grado di tutelarla completamente (si veda quanto successo a Fukushima).

Le scorie risultanti dal consumo del combustibile nucleare sono poi un enorme problema, visto che sulla Terra non esiste un luogo di stoccaggio che risolva i problemi legati allo stoccaggio nel lungo periodo, incluso quello a 300km da Helsinki, non ancora operativo, e che trova come unica soluzione la sepoltura di tali scorie a 450 metri di profondità.

 

 

Le centrali di quarta generazione potrebbero essere più interessanti, visto che hanno come obiettivo proprio quello di minimizzare la produzione di scorie (si parla di “autofertilizzazione”, un processo teso a consumare quasi completamente il combustibile radioattivo). Ma siamo ancora a livello di teoria: le centrali di quarta generazione sono tuttora solo studi su carta, e per avere un impianto pilota occorreranno altri dieci anni di studi ed altrettanti per la realizzazione.

Rimane poi il problema della sicurezza: come dimostrato a Fukushima, la radioattività è un problema che l’uomo non è in grado di gestire. È impensabile credere che possano esistere impianti completamente sicuri, ed anche se ne abbiamo di costruiti lungo i nostri confini (una delle motivazioni a supporto dei fan del nucleare) questo non significa che dobbiamo aumentare il rischio costruendone sul nostro territorio, soggetto peraltro a terremoti frequenti anche di elevata intensità.

 

 

La soluzione all’autonomia energetica nel medio-lungo periodo passa esclusivamente per le rinnovabili. Abbiamo un territorio estremamente favorevole da questo punto di vista: oltre all’implementazione corposa di nuovi impianti fotovoltaici da distribuire sul territorio (folle da questo punto di vista che fra i vari bonus edilizi non ce ne sia uno dedicato a questo aspetto, se non direttamente legato ad altre lavorazioni edilizie), abbiamo zone estremamente ventose che possono essere sfruttate per la realizzazione di distese di pale eoliche, specialmente in mare (come fanno da tempo i paesi scandinavi e l’Inghilterra). E ancora, cosa blocca la realizzazione di impianti che sfruttino le maree? Siamo una Nazione completamente affacciata sul mare, e dobbiamo assolutamente sfruttare questo aspetto.

È pur vero che la realizzazione dei pannelli solari, grazie alle regole delle delocalizzazioni e della globalizzazione, regole imposte da un occidente miope, è ora completamente realizzata in Cina. Tutti i principali Stati produttori di materiali fondamentali per la produzione degli impianti fotovoltaici sono sotto l’ombrello politico del dragone, e quindi spingere unicamente sul solare significa da un lato far lievitare i prezzi e dall’altro cambiare collare: da quello russo a quello cinese.
C’è poi il discorso che, a detta di molti esperti, con le tecnologie attuali non c’è la possibilità per le rinnovabili di soppiantare completamente l’utilizzo dei fossili. Gli studi in merito non sono di facile reperibilità, e se da una parte sarebbe sinceramente interessante poter verificare queste tesi, dall’altro si genera il dubbio che si tratti di manovre di disturbo pro-nucleare.

 

 

E nell’immediato? C’è poco da fare. Non avendo investito sulle rinnovabili saremo costretti a rimanere legati ai combustibili fossili ancora per diversi anni, continuando a utilizzare il gas proveniente dai Paesi più stabili sul momento ed in caso di emergenza riattivando le centrali a carbone come ha già fatto la Germania.
E tutto questo, con buona pace della famigerata transizione ecologica.

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