Non tutti amano gli avvocati, eppure quando c’è di mezzo Capcom si può arrivare a concedere una doverosa eccezione.
Phoenix Wright affonda le sue radici nei primi anni 2000, nascendo come una visual novel esclusivamente destinata alla terra del Sol Levante e confinata allo schermo buio del Game Boy Advance. Quattro anni e quattro episodi dopo, Capcom decise di portare tutta la serie sul neonato Nintendo DS, dandogli una degna traduzione in inglese e aggiungendo un ulteriore capitolo in grado di sfruttare la presenza di uno schermo tattile. Il riscontro del pubblico fu piuttosto positivo, e arrivarono inevitabili altre opere ambientate prima e dopo la storia originale, creando un canone che però rischiava di rimanere confinato alle console portatili. Dopo l’arrivo sugli store digitali delle macchine da salotto, infine, la trilogia originale ha visto la luce anche su PC, probabilmente la piattaforma più adatta al ritmo di gioco e al sistema di controllo. Ma andiamo con ordine.
Phoenix, detto Nick, è un giovane avvocato che, per una serie di eventi descritti nei primi due casi della saga, si ritrova a dover dirigere uno studio legale pur non avendone l’esperienza necessaria. Aiutato da pochi amici stravaganti e qualche personaggio disponibile ma non troppo nei suoi confronti, dovrà difendere numerosi clienti da accuse di omicidio più o meno fondate e da spietati procuratori che li vorrebbero condannare. Non si tratta di un personaggio improbabile che di notte si trasforma in un vendicatore: le sue uniche armi sono lo spirito di osservazione, la conoscenza dei fatti e la capacità di convincere il giudice dell’innocenza dei suoi assistiti. Saranno invece i suoi aiutanti a fornirgli aiuti burocratici, scientifici e persino paranormali, come accadrà sin dal secondo processo.
Parlare di processo in fondo è riduttivo: ogni giornata, scandita da date e ore nello stile del famosissimo sceneggiato Law & Order, alterna la raccolta di informazioni tra le parti coinvolte alla ricerca di indizi sui luoghi incriminati, e solo dopo aver raccolto abbastanza materiale il protagonista sarà pronto per andare in tribunale. Tutto avviene inizialmente con grande semplicità, al punto che la maggior parte dei dialoghi ha solo quattro opzioni ripetibili a piacimento e la caccia al particolare si riduce ad una serie di click in zone chiaramente indicate dal cursore. È anche vero che per muovere in avanti le lancette della storia bisognerà presentare alla persona giusta un elemento rilevante, comodamente catalogato nel registro di corte, ossia il classico inventario. Vengono comunque introdotte in maniera molto graduale, quasi sottotraccia, nuove modalità di investigazione, chiaramente di un lascito delle primissime versioni in cui gli episodi erano pubblicati in cartucce separate e a distanza di qualche tempo e dovevano essere giustificati acquisti multipli, ma straordinariamente il mosaico funziona. Il senso di progressione, pur compassato, è evidente, e si arriva agli ultimi atti del terzo gioco consapevoli di aver fatto passi da gigante: un risultato piuttosto notevole per un genere notoriamente piatto e lineare.
La seduta di corte è tutto un altro paio di maniche. Sotto la direzione del fantastico giudice dalla folta barba bianca, vengono chiamati a testimoniare coloro che hanno avuto a che fare col nostro eroe durante le fasi precedenti. Ad ogni loro dichiarazione viene data alla difesa la facoltà di pressare il teste, per scendere in particolari che potrebbero rivelarsi decisivi, o di obiettare, per mettere in evidenza la fallacia di un’affermazione presentando una prova. Un’azione da compiere con la massima cautela, dato che il numero di errori consentiti è basso, e oltrepassarlo significa la condanna per il proprio cliente e la conseguente fine della partita. I salvataggi illimitati attenuano la pressione, ma non cancellano il senso di colpa per aver fatto condannare un innocente.
Non mancheranno, anzi abbonderanno, dialoghi surreali e personaggi più unici che rari. A partire dai protagonisti, passando per i comprimari e finendo con gli antagonisti per eccellenza, gli avvocati dell’accusa, ogni singolo partecipante è caricaturale in maniera estrema, ma anche molto gradevole. Impossibile non affezionarsi a certe macchiette e alle loro manie improbabili, tantopiù che l’evolversi degli eventi, anche a cavallo tra i tre giochi, ripropone delle facce note e ne riporta la carica di simpatia (o antipatia) perfettamente intatta. Certo, la trama inizia a soffrire abbastanza presto della sindrome di Jessica Fletcher, per cui le disgrazie paiono seguire sempre le stesse persone, e ciò potrebbe essere anche visto come un omaggio alle opere gialle più note del mondo reale. Infatti, non mancano continui riferimenti a fiction, canzoni o nomi che suonano molto familiari.
Al netto di questo, i colpi di scena fioccano come neve, e non solo mantengono l’esperienza attraente per tutte le circa 50 ore necessarie ad arrivare fino in fondo, ma influiscono sul modo di approcciare le indagini e cambiano di continuo i sospetti sui colpevoli di ogni delitto. Chiunque abbia la passione per il giallo sa quanto sia importante che la narrazione cammini sul filo dell’incertezza, e questo i tre titoli che compongono il pacchetto lo fanno molto, molto bene. Se ci aggiungiamo una buona qualità dei disegni (anche se qualche animazione in più non avrebbe guastato, data la staticità generale) e delle musiche memorabili, non c’è motivo di perdersi una trilogia di questa portata. Così è deciso, l’udienza è tolta.