Uno Bianca: la recensione

Quando ancora si facevano le miniserie dalla parte dei poliziotti e non da quella dei criminali: Uno Bianca ha i numeri per essere visto.

 

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A cavallo degli anni ’90 la Romagna fu investita da una serie di rapine e di efferati omicidi che avevano come comune denominatore il mezzo di trasporto dei criminali: utilizzavano sempre una Fiat Uno bianca rubata. Si trattò di una pagina nerissima della storia italiana recente, e per chi non ricorda gli eventi evito di raccontare i dettagli, così da non rovinare la visione del film.

Al contrario di quel che è successo negli ultimi anni con Gomorra, Suburra e Romanzo Criminale – La Serie, al tempo si stava ancora dalla parte dei buoni, di chi mette in gioco la propria vita per un ideale di giustizia. In Uno Bianca seguiremo le vicende, piuttosto romanzate rispetto ai fatti reali, di un gruppo di poliziotti che cercheranno in tutti i modi di catturare i malviventi ed assicurarli alla giustizia.

 

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Ci troviamo di fronte ad un film per la televisione, e purtroppo questo fatto incide molto sul modo in cui è stata realizzata questa pellicola: intanto i momenti cruenti sono quasi completamente assenti, cosa affatto in linea con i reali accadimenti. Poi c’è un esasperazione evidente di alcuni fattori che stonano e che infastidiscono; vedi l’inettitudine del Procuratore, cosa non necessariamente corrispondente alla realtà ma che gli sceneggiatori hanno usato per aggiungere un motivo di frizione interno alle Forze dell’Ordine. Questi viene rappresentato con uno stereotipo rivedibile, affatto logico e che è veramente forzato. Ci sono alcuni personaggi che sono quasi caricaturali, anche fra i malviventi; certe situazioni sono invenzioni prive di fondamento non solo storico ma anche razionale. Ma la cosa che più infastidisce è l’esaltazione del delinquente immigrato e dello zingaro, che vengono trattati come “poveri cristi” senza tener assolutamente conto dei furti e delle atroci rapine che commettevano e che già ai tempi avevano fatto saltare sulla sedia gli italiani (si, il buonismo ha radici lontane purtroppo).

Fatte salve queste situazioni, il film è godibile. La storia, come detto romanzata, fila bene; i momenti di analisi e di investigazione sono quelli sicuramente più riusciti, e non si può negare l’abilità del regista Michele Soavi (Dellamorte Dellamore, Arrivederci Amore Ciao, Il Sangue Dei Vinti) nel tenere alto il livello di tensione in queste fasi. Meno riuscite invece le scene d’azione, che sono proprio realizzate in stile fiction (caricatori da mille colpi, sfide in stile western e minchiate del genere).

 

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Il comparto attoriale vive di alti e bassi: Kim Rossi Stuart (Cuore Cattivo, Anni Felici, Tommaso) fa la parte del leone e di certo non gli si può imputare una cattiva recitazione, come per la sua spalla Dino Abbrescia (Non Pensarci, Cado Dalle Nubi); accanto a loro però ci sono attori meno incisivi, anonimi o addirittura fastidiosi (vedi Dario D’Ambrosi, che abbiamo visto anche in Romanzo Criminale – La Serie).

Uno Bianca è un film figlio del suo tempo ma che ancora oggi, nella mediocrità generale della televisione italiana, ha qualcosa da dire: ha il merito di raccontare una storia oggi finita nel dimenticatoio e di farlo senza sensazionalismi o eccessive politicizzazioni.

 

Uno Bianca, 2001
Voto: 6.5
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