L’affluenza al 20% testimonia quanto il sistema elettorale italiano sia farraginoso e facilmente vittima di brogli, e che necessita di un immediato svecchiamento tecnologico.
La storia recente dei referendum in Italia mostra una chiarissima indicazione su come di questo strumento si abusi.
Per indire un referendum, fatta salva l’approvazione da parte della corte costituzionale, bastano 500000 firme; un numero esiguo di persone, quindi, può mobilitare una intera nazione su temi magari di poca o nessuna importanza generale.
I temi proposti nella tornata referendaria di pochi giorni fa erano nei migliori dei casi marginali, in altri improponibili (come si fa a pensare di allentare ancora di più le maglie della legge eliminando il concetto di reiterazione di reato?). E come spesso accade, gli elettori hanno preferito non ritirare le schede piuttosto che alzare un quorum che facilita sempre chi vuole abrogare le leggi.
Di sicuro questa votazione è stata vissuta con un forte senso di appartenenza politica, avendoli voluti soprattutto la Lega; ed il risultato si è visto chiaramente, nella stessa maniera in cui Renzi affossò il referendum sulle trivelle intestandosene la paternità.
Se si vuole coinvolgere la cittadinanza, occorre proporre dei temi etici e non politici; non è un caso che rispetto ai primi referendum della storia repubblicana si possa notare una progressiva e netta inversione sull’affluenza degli elettori, dall’87% del referendum sull’aborto del 1974 al 57% del 1995, ultima sessione prima del crollo dei votanti: 30% l’affluenza media dal 1997 al 2016. Guarda caso, dopo il termine della cosiddetta “prima repubblica”, tanto vituperata (giustamente) ma anche molto più politicamente di spessore rispetto a oggi.
E uno dei punti cardine, ma deleteri, dell’attuale sistema referendario, è che si invitano gli elettori a disertare le urne: li si incita a non esercitare il loro diritto/dovere che è alla base di qualsiasi Stato democratico.
Una nazione con un’etica forte dovrebbe insegnare proprio il contrario, cioè ad esprimere la propria preferenza dopo essersi informati. Basterebbe elevare di molto la soglia per poter presentare un quesito referendario (non meno del 20% della forza elettorale, quindi circa 10 milioni di firme) e rendere poi valido l’esito del referendum a prescindere dal quorum raggiunto. In questo modo chiunque sentirebbe di dover espreimere la propria indicazione e ci sarebbe una maggiore partecipazione popolare.
In tal senso la tecnologia aiuterebbe fortemente nella raccolta delle sottoscrizioni: lo SPID ormai si usa in qualsiasi operazione statale, perché non introdurlo anche nel tener traccia dei firmatari dei referendum e per accedere alla cabina elettorale?
Forse perché, se ben realizzato, un sistema informatico a doppio controllo, quello dove sia il cittadino sia lo Stato devono contemporaneamente certificare la liceità di un ritiro di schede e di una votazione, potrebbe ridurre il rischio di brogli elettorali. Ci sono interi settori della vita politica che sui brogli ci campano per motivi sia di potere che per legami con la criminalità; e se da un lato è vero che il mondo informatico può essere vittima di attacchi e praticamente nulla è veramente anonimo, è anche vero che se si vuole evitare che l’intero sistema elettorale si basi su di un sistema di carta e matita che permette facilmente di apporre firme false e mettere nelle urne schede mai ritirate dal rispettivo elettore
Questo sarebbe l’unico modo per riportare un minimo di legittimità al processo elettorale, garantendone un uso sensato, la giusta trasparenza e soprattutto correttezza alle operazioni di voto.