Rumore Bianco: l’altra recensione

Ci sono supercazzole e supercazzole. Quella di Noah Baumbach può anche piacere, ma sempre di supercazzola si tratta. E a Wes Anderson fischiano le orecchie!

 

 

Questo lungometraggio di 136 minuti, disponibile su Netflix, al creatore dei Tenembaum e delle avventure acquatiche di Steve Zizou molto deve. Ne aleggia l’umorismo nero e la forte propensione della trama al grottesco, che a Roma avremmo definito “na caciara”. L’idea poi di usare un cast clamoroso sempre da quella fonte arriva. E così troneggia uno splendido Adam Driver, seguito a ruota dal bravissimo Don Cheadle e ancor dietro dal caratterista super Mike Gassaway. Ma quello che ascrive l’opera nella sfera wesandersoniana sono la trama e i dialoghi attraverso cui essa si dipana.

Siamo nell’iconico 1984 e il professor Jack Gladney insegna in un corso di Hitlerologia ed è sposato con Babette. Entrambi sono al quarto matrimonio e crescono quattro figli: Cheadle, Heinrich e Steffie, avuti da Jack da due dei precedenti matrimoni, Denise, da un matrimonio passato di Babette, e Wilder, avuto dai due insieme. Un casino. La famiglia è un po’ allo sbando: Babette assume segretamente delle pastiglie chiamate “Dylar”, che non si trovano su alcun libro medico e Jack sogna periodicamente un uomo misterioso che cerca di ucciderlo. Un giorno avviene, nei pressi della città, un catastrofico incidente ferroviario che genera una pericolosa nube tossica. Da là si scatena una massiccia evacuazione di massa in cui la vita della famiglia di Gladney resterà impigliata.

Se si trattasse di uno spettacolo teatrale, sarebbe un capolavoro. Se finisse dopo un’ora, sarebbe un capolavoro. Se lo si guardasse sotto effetto di crack, sarebbe un capolavoro. Ma è anche vero che, se il nonno avesse quattro palle, sarebbe un flipper invece un flipper non è. E qua cade la trasposizione cinematografica dell’omonimo libro di Don DeLillo. Ottimo cast, ottime premesse, ottime battute ma in mano resta sabbia asciutta al vento.

La storia cambia genere tre volte. Il centro, cioè come un’evacuazione sposti le proprie priorità, non è più centro dopo poco. I livelli dei protagonisti si stratificano così tanto che vorresti essere sepolto anche tu. Rumore Bianco in realtà è una valanga di cazzate che ti travolge e, mentre sei ancora deciso se gridare al miracolo o bestemmiare, ti uccide. Provaci ancora, Sam… ma pure Baumbach.

Magari potrebbe (dovrebbe) ripartire dagli splendidi quindici minuti di lezione universitaria in cui Driver e Chaedle paragonano Hitler e Elvis Presley attraverso il loro malsano attaccamento alla mamma.

 

 

Se gli anni ottanta, col senno di poi, sono stati un rassicurante decennio di vacuità, questo titolo li ha davvero ben rappresentati. E siamo tutti sicuri che in pochi lo vedranno fino alla fine.

 

Rumore Bianco, 2002
Voto: 5
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