Southport: sottovalutare i disordini in Inghilterra è un errore

La scelta di sminuire la reazione di molti inglesi all’uccisione delle bambine come semplice xenofobia è l’ennesimo tentativo mirato a nascondere un problema evidente.

 

 

L’omicidio a sangue freddo di tre bambine avvenuto a Southport il 31 luglio ha riportato al centro dell’attenzione un tema che, a dire il vero, soltanto chi è ingenuo o in malafede proprio non riesce a vedere: la difficoltà, e talvolta impossibilità, di realizzare una convivenza tra gli europei e gli immigrati africani e islamici.
Se è vero che le proteste sono state gestite da gruppi politici inglesi di ultradestra, è altrettanto vero che se decine di migliaia di persone in tutta l’Inghilterra sono scese in piazza agendo con forza contro strutture pubbliche ed incendiando o danneggiando hotel che ospitano gli immigrati non si può certo parlare di sparute minoranze che hanno voluto cavalcare l’onda.

 

 

Quello che più volte abbiamo preannunciato su queste pagine sta forse concretizzandosi: la ribellione di una popolo all’imposizione coatta di nuove presenze massicce non gradite perchè non allineate con la cultura locale e perchè non disposte ad integrarsi, quanto piuttosto desiderose di trasformare la terra di approdo nello stesso ambiente da cui provengono.

Che si tratti di un figlio di ruandesi invece che del solito islamico che i media si affrettano a definire “lupo solitario” e che le fonti di pubblica sicurezza assicurano “non essere terrorismo” poco importa; i fatti sono quelli che contano, ed i fatti ci spiegano che in tutta Europa da oltre vent’anni è in corso un arrivo di massa di stranieri, ai quali, in nome di non meglio precisate tolleranze religiose o solidarietà morali, è concesso praticamente tutto. E i risultati sono che in tutta Europa la destra, intesa come figura politica democratica, avanza fortemente, mentre i sistemi di potere di sinistra e centrosinistra tentano in tutti i modi di negare l’evidenza.

 

 

Il discorso è ampio, ricco di collegamenti e di analisi che dovrebbero spaziare dalle ideologie rivoluzionarie anti-stato all’utilizzo da parte dei gruppi di potere economico di media e politici per convincere una fetta di popolazione ad abbracciare il cambiamento, qualunque esso sia, in nome della bontà, della condivisione e dell’uguaglianza (e dei nuovi consumatori e della mano d’opera a bassissimo costo). Eppure sono innumerevoli i casi di immigrati, islamici e africani, che al netto delle azioni terroristiche coordinate che non rientrano in questo discorso, si sono macchiati di ogni tipo di delitti contro la persona: stupri e furti su tutti, ma anche aggressioni contro le forze dell’ordine o l’imposizione fra le mura domestiche di una vita che non deve assolutamente entrare in contatto con gli usi ed i costumi occidentali. Ancora una volta viene da chiedersi: ma chi vuole veramente l’integrazione? Di quale integrazione si sta parlando?

In Europa c’è un fuoco che ha smesso di covare sotto la cenere, ed è lo stesso fuoco che motiva molti elettori di Trump negli USA: il fuoco della rabbia che prova chi sa di essere stato raggirato e sbeffeggiato da chi, lo Stato, doveva invece difenderlo e doveva tutelare prima “gli indigeni”, cioè chi in quel Paese ci vive da generazioni, generazioni che hanno contribuito con le tasse, con le braccia dei lavoratori e la vita dei soldati a creare, difendere e plasmare. Vedere come una elite stia buttando alle ortiche secoli di tradizione e come una massa di persone segua indiscriminatamente dettami fintamente buonisti non può non provocare una reazione uguale e contraria in molti altri. Ha ragione Joe Biden quando dice che se a novembre Kamala Harris dovesse vincere le elezioni potrebbe esserci una mezza rivoluzione; purtroppo in occidente ormai si vive solo di estremismi, e la più grande colpa della politica moderna è quella di aver ucciso il dialogo.

 

 

Esiste una censura non ufficiale sui temi dell’immigrazione, della religione, dello straniero che non vuole adattarsi al posto in cui arriva; è una censura operata dai media (che spesso omettono il fatto che a commettere un certo crimine è stato uno straniero), dalle piattaforme social (dobbiamo ritirare fuori la storia dei post che spariscono ed i profili banditi?), da certi partiti politici che sono abilissimi a spazzare il concetto di appartenenza e anzianità in nome del “restiamo umani” e da gruppi economici che probabilmente da decenni manovrano il tutto per i loro unici ritorni personali. Ed esiste anche una repressione morale, sul posto di lavoro e più diffusamente nella società, che vuole impedire di esprimere concetti normali e naturali come quello del “io qui ci vivo da prima di te”, “io pago le tasse e tu no”, “questa è la terra dei miei avi e la devi rispettare”.
È impensabile che a questa situazione non si contrapponga una forza reazionaria che punti, con metodi diversi e non sempre condivisibili, a ristabilire l’ordine naturale delle cose.

Su queste pagine lo diciamo da tempo: in occidente le premesse per uno scontro sociale violento ci sono tutte; in Inghilterra abbiamo visto l’inizio di un nuovo capitolo di storia europea?

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