Wanna: la recensione

Se anche voi avete detestato quell’odiosa signora che vi urlava in faccia quanto schifo facevate, ora potete vendicarvi.

 

Wanna

 

Questa docu-fiction di Netflix nasce sulla scia di racconti come Il Truffatore Di Tinder e L’Uomo Più Odiato Di Internet, che mettono in scena con successo i folli percorsi di truffatori seriali che hanno toccato le stelle per poi finire sommersi nel letame (per fortuna). Il buon Alessandro Garramone ha avuto l’intuizione di italianizzare il genere puntando sulla strillatrice più odiata d’Italia e il regista Nicola Prosatore ne ha tradotto le intenzioni in un prodotto di 4 episodi tutti da vedere. Le gesta di Wanna Marchi e della figlia Stefania Nobile sono servite su un piatto d’argento.

La loro storia è nota (anche alle forze dell’ordine): dagli inizi degli anni ottanta alla rovinosa caduta un decennio dopo, per poi passare nuovamente al successo e chiudere con una condanna che ha tenuto chiuse le donne otto anni in carcere. “I coglioni vanno inculati” inneggia, con la classe di un campione di rutti, la Marchi e di certo le sue non sono rimaste semplici parole. Miliardi su miliardi di lire guadagnati su chi sperava di dimagrire miracolosamente e, dopo, su chi cercava di comprare una fetta di fortuna in una vita sfortunata. Miliardi su miliardi estorti ai deboli.

Wanna è un lavoro che racchiude testimonianze di ex collaboratori, di centralinisti pentiti, di giornalisti e opinionisti e, soprattutto, delle due protagoniste assolute della storia. E qui sta la marcia in più del titolo: la faccia con cui queste due tipe raccontano senza rimorsi una storia di inganni e di truffe è da film horror. Soprattutto, è una storia in cui l’empatia e il pentimento non trovano posto. A più di dieci anni di distanza dalla condanna, Wanna e Wannina sono ancora convinte che la loro strategia di vendita non abbia pecche etiche e penali. Praticamente mettono in scena il delirio di onnipotenza e la totale assenza di empatia umana.

Se volete sapere come sia arrivata in cima al mondo una donna che col doppio mento urlava agli altri di essere grassi, ogni risposta è data chiaramente nella fiction. Se volete comprendere quanto malato sia il rapporto tra lei e la figlia (a volte davvero inquietante), vi basterà seguire le interviste. Se volete ridere, infine, non mancherà occasione. Il singolo “D’accordo” con cui la televenditrice invase il mercato discografico è umoristico e le facce con cui condisce le sue improbabili ricostruzioni superano di gran lunga quelle di Jim Carrey. Picco inarrivabile, però, è l’atteggiamento delle protagoniste.

 

Wanna

 

Wanna Marchi e Stefania Nobile odiano, odiano fortemente. Alla fine di tutto questo girone dantesco, sono loro a inveire contro ex mariti morti che devono marcire sotto terra, contro Jimmy Ghione che è un coglione, contro il mago Do Nascimiento che è una merda, contro i centralinisti che non valgono nulla. Gli occhi di questi esseri allucinanti saettano veleno. Come se il male l’avessero subito loro e non le centinaia di vecchiette che hanno martoriato per anni come un efferato cravattaro della magia nera.

Questo lavoro è utile. Ti fa capire l’Italia degli anni ottanta e novanta (che sprofondava nei soldi facili ma felicemente), i prodromi degli influencer (la Wanna è la loro nonna gagliarda), il marketing più violento e lo sconforto in cui possono vivere certe anime impalpabili.

Ora mamma e figlia sono di nuovo a piede libero e vivono insieme dormendo nella stessa stanza da letto. Come due piccioncini innamorati della loro crudeltà. Ora mamma e figlia si sono mostrate per quello che sono e l’hanno fatto sorridendo in camera. Come un gatto incantato dai fanali di una macchina che lo sta per devastare…

Wanna, 2022
Voto: 8
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