Come riuscire a salvare una fabbrica mettendo d’accordo l’organizzazione giapponese e l’individualismo americano?
Gung Ho e’ una delle prime pellicole dirette da Ron Howard, quel Ricky di Happy Days che a dispetto di quanto i piu’ si immaginavano ha saputo preferire una incredibile e positivissima carriera dietro la macchina da presa a quella da attore.
Girato in pieni anni ’80, il film ci pone subito al cospetto di un giovane Michael Keaton, rappresentante delle maestranze di una fabbrica d’auto statunitense chiusa a causa della crisi del settore (fortissima, in quegli anni), e che si reca in Giappone ad offrirsi alla Assan Motors, marchio giapponese dai rigidissimi protocolli (come tradizione vuole). I nipponici fiutano l’affare, ma i contrasti culturali porteranno l’accordo a vacillare clamorosamente… riusciranno gli operai a salvare il posto di lavoro?
Gung Ho e’ un film che non ha eccessive pretese, e’ girato con spensieratezza e mantiene una decisa leggerezza durante tutta la proiezione. La sua forza e’ quella di trattare temi anche drammatici con un sorriso sulle labbra, gettando nel grottesco e nel surreale le situazioni piu’ critiche. Le numerose gag sono una boccata d’aria fresca, mai volgari anche se sempe al limite del paradossale; ma e’ chiaro l’intento del regista, quello di forzare un po’ la mano, e quindi certe esagerazioni sono alla fine tollerabili visto che ci fanno ridere.
Michael Keaton ha la sua controparte in Gedde Watanabe, semisconosciuto attore statunitense d’origine giapponese; insieme danno vita ad una sequenza di simpatici episodi alla cane e gatto, dove i due sono al tempo stesso avversari ed alleati. Accanto a loro una schiera di artisti poco noti, con l’eccezione di un giovanissimo e poco sfruttato John Turturro e di George Wendt, omone di vera stazza e noto all’epoca per il personaggio di Norm in Cheers (Cin Cin nella versione italiana). Intorno a loro onesti comprimari che portano a casa la pagnotta con onore.
Poco da notare in sede di fotografia o colonna sonora; come quasi sempre accadra’ anche in seguito, Ron Howard preferisce far parlare la storia ed i suoi personaggi piuttosto che mettere una sua forte impronta sul film. Una scelta atipica per un regista, ma che funziona ed e’ a suo modo caratteristica. La trama e’ credibile ed abbastanza lineare, a parte un paio di salti piuttosto bruschi; forse dovuti a scene tagliate e non piu’ girate per lo scarso budget?
Ogni tanto parte in sottofondo qualche canzone a sottolineare momenti specifici come praticamente sempre si faceva nei film di quegli anni (e come ancora talvolta succede).
Oltre a far ridere, Gung Ho e’ un film che a pensarci bene sa anche far riflettere, specialmente in questi anni di tensioni sociali dovute alla forte immigrazione in Europa. La lezione che mostra chiaramente e senza falsi perbenismi che le differenze ci sono e che possono essere superate solo con la buona volonta’ di entrambe le parti, fattore che dovrebbe essere tenuta maggiormente in considerazione quando si parla di integrazione (anche se nel film arrivano negli USA capitali e personale specializzato, ed il “volgo” sono i locali).
Una nota curiosa: le auto prodotte nella fabbrica, ed assemblate alla bell’e meglio dagli inefficienti operai americani, sono delle riconoscibilissime Fiat di quegli anni: la 127, la Ritmo e la Regata (forse anche l’Argenta) fanno sfoggio di se con le linee caratteristiche (e bruttarelle) dell’epoca. Probabilmente per gli americani quelle vetture erano molto esotiche, ma a noi fa ridere pensare che quei mezzi catorci potessero essere accomunati all’affidabilita’ giapponese (in comune avevano solo uno stile decisamente rivedibile).
Gung Ho e’ un film che ha retto molto bene il passare degli anni, e che ancora oggi merita di essere visto ed apprezzato.