Il Ragazzo E L’Airone: la recensione

Il mondo ha tanto atteso l’uscita dell’ultimo film di Miyazaki; poi l’ha visto ed ha sperato fosse davvero l’ultimo della sua carriera.

 

Il ragazzo e l’airone recensione

 

La carriera del cineasta giapponese è di pura luce dorata e non si discute, ma non si deve cadere nell’errore di idolatrarlo come una dottrina inviolabile. L’ultimo suo lavoro è un’enorme porcata e va detto. Perché sul web è pieno di gente che si riempie la bocca con paroloni come “capolavoro”, “opera necessaria” e “nirvana dell’animazione” ma, probabilmente, molti di loro non conoscono i suoi film e credono che Porco Rosso sia un piatto tradizionale della cena di Natale giapponese.

Sia chiaro: tecnicamente i 124 minuti di racconto sono stupefacenti; l’animazione è fluida ed onirica e i paesaggi tolgono il fato. Il problema inizia a palesarsi se, dopo aver spalancato la bocca, si ha anche l’ardire di voler seguire una trama. Ne hai il sospetto quasi subito, ma te ne arriva la certezza ai titoli di coda: esci dalla sala e non hai letteralmente capito una mazza. C’è chi parla di una metafora sulla guerra, chi sulla depressione e chi, pure, sostiene che il fondatore dello Studio Ghibli volesse mettere in scena le ansie su quel che avverrà a livello artistico dopo la sua morte (tema interessante come un workshop sulle verruche dei guerrieri Maya). La verità è che un film in cui non esiste alcuna certezza del finale, né tanto meno di alcune parti dell’intreccio, è un film che ha clamorosamente bucato.

Non è come con Donny Darko, dove ci si arrovellava sulle possibili letture del finale ma che nel complesso narrava una precisa vicenda. Qua fioccano, ora dopo ora, post su post per dare una nuova e sconvolgente analisi della pellicola. A continuar così, uscirà fuori anche chi vedrà nella storia di Mahito (questo il nome del protagonista che ha la stessa faccia di Conan Il Ragazzo Del Futuro) i prodromi dell’Apocalisse. E pensare che la partenza era buona: nella Tokyo del 1943, mentre la Guerra del Pacifico impazza, il dodicenne dalla testa semi-rasata diventa orfano di madre durante l’incendio di un ospedale. L’anno successivo, quel gran genio del padre pensa bene di ingravidare la sorella minore dell’ex moglie e di trasferirsi col figlio, tutti insieme appassionatamente, nella tenuta di campagna di famiglia. L’imberbe inizia a dir poco a sbarellare, finendo a chiacchierare con un airone dagli occhi più cattivi di quelli di Linus e i denti più aguzzi di quelli di Giucas Casella. Poi arriva lo sfacelo.

 

Il ragazzo e l’airone recensione

 

Perché Miyazaki porta avanti la storia copiandosi indegnamente fotogramma dopo fotogramma. Usa a spron battuto i quattro elementi, col vento e il fuoco a farla da padrona come in molte altre sue pellicole. Non pago, trasforma la misteriosa torre davanti a casa nella versione di Wish del Castello Errante Di Howl. Poi riempie gli scenari con i boschi di Nausicaa e di vecchie rugose col nasone come nella Città Incantata. Pensate che l’opera di auto-plagio finisca qua? No, di certo. Quando Mahito piomba nell’universo parallelo, che per alcuni è il Paradiso, per altri l’Oltretomba e per altri ancora la mente di un malato di depressione, scattano onde, pesci e tempeste in perfetto stile Ponyo. Diciamo che si tratta di un Bignami del suo lavoro iniziato nel lontano 1979 col bellissimo Lupin III – Il Castello Di Cagliostro.

Non tutte le ciambelle vengono col buco, ci sta, ma almeno regaliamoci l’emozione di urlare che il re è nudo. Perché in questo film Hayao Miyazaki si mostra davvero come mamma l’ha fatto. E non è un bello spettacolo.

 

Il Ragazzo E L’Airone, 2023
Voto: 4
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