Queste sono le storie degli agenti che hanno iniziato a sondare le menti malate dei più famosi serial killer americani. Una serie interessante, ma lenta.
Di solito non mi cimento nel recensire serie tv che trattano di criminali, perché non mi piace la prassi, ormai consolidata, di esaltare i personaggi negativi. Questa volta ho fatto un’eccezione: ho visto questo prodotto perché tratta principalmente di coloro che hanno creato uno schema studiando la mente degli assassini seriali. È un argomento estremamente interessante, ma ci vuole un po’ di pelo sullo stomaco per digerirlo.
Gli agenti federali Holden Ford e Bill Tench, insieme alla dottoressa Wendy Carr, iniziano una collaborazione per studiare una nuova tipologia di assassino, quello seriale. Il loro primo compito è intervistare i serial killer in prigione e stilare un profilo comportamentale. Da questo studio verranno fuori le basi per creare uno schema del loro comportamento e quindi facilitare l’identificazione di nuovi possibili criminali.
Lo storia è solida, ma mi sono subito reso conto di un difetto drammatico: il ritmo. La narrazione non ha praticamente nessun cambio di passo. Questa serie è composta da infiniti dialoghi, pochissima azione e una drammatica routine che addormenta lo spettatore. Sicuramente c’è molto di romanzato, sia durante le interviste ai serial killer che nel raccontare la vita privata dei tre protagonisti, ma avviene quasi tutto in una disarmante monotonia.
Jonathan Groff si cala nei panni di Holden Ford dandogli una connotazione estremamente riflessiva, a tratti assente, e con discreti problemi a mantenere sane relazioni con il resto del mondo. Groff chiaramente s’ispira all’agente Will Graham, interpretato da Edward Norton, in Red Dragon, ma calca la mano con l’apatia ed il distacco. Il personaggio è indubbiamente riuscito, ma non è facile, oserei dire per fortuna, empatizzare con lui.
Bill Tench, interpretato da Holt McCallany, è invece un agente di vecchia data, sa come ci si deve muovere nell’ambiente per non pestare i piedi e mira sempre dritto al risultato. Molto più umano del suo collega, ha alle spalle una vita sentimentale apparentemente stabile. Purtroppo la verità è molto diversa: ha una moglie profondamente insoddisfatta della costante assenza di Bill. Di certo è il personaggio più reale dei tre grazie ai problemi familiari che lo affliggono.
La dottoressa Wendy Carr, intrepretata da Anna Torv, è devota alla sua professione. Ha una vita privata complicata dalla sua omosessualità che alla fine degli anni ’70 non è un buon biglietto da visita per lavorare nel FBI. Anna sembra nata per vestire i panni dell’analista comportamentale in carriera. La caratteristica migliore della sua recitazione è in come usa gli occhi. Riesce a dare al suo personaggio uno sguardo indagatore che non nasconde un’apparente freddezza verso il mondo maschile.
I problemi personali dei protagonisti sono ben descritti, ma non influenzano più di tanto il lavoro. Al contrario gli effetti collaterali del loro lavoro sono deleteri per i rapporti interpersonali con famiglia, amori e amicizie. Holden non riesce a costruire una relazione stabile perché è ormai entrato troppo a fondo nelle menti contorte degli assassini.
Tench, abituato ad avere a che fare il peggio della società, prova forzatamente ad ignorare tutti i campanelli d’allarme che gli risuonano intorno e questo lo consuma vistosamente.
La dottoressa Carr riesce a separare meglio la sua vita lavorativa da quella privata. Purtroppo i suoi rapporti devono essere sempre molto discreti e clandestini e questo le causa spesso incomprensioni, litigi e rotture.
Tutto questo è però oscurato dalle lunghe interviste fatte agli assassini seriali. Esaminare le menti malate e ripercorrerne le scelte e le decisioni fatte fa rabbrividire. Tentare un approccio non è cosa semplice e spesso Holden forza la mano uscendo dal tracciato che invece dovrebbe seguire. Assistiamo quindi a dialoghi surreali e confessioni drammatiche.
Il passaggio successivo, ovvero l’analisi delle interviste e la conseguente creazione di uno schema comportamentale, è un altro passo discutibile di questa serie. I protagonisti si cimentano in ipotesi e cercano di catalogare o suggerire schemi comportamentali che possano definire i vari soggetti.
Purtroppo questi momenti sono abbastanza diluiti nel tempo e vengono principalmente usati per evidenziare i clamorosi momenti di svolta della loro ricerca. Forse un po’ troppo poco per capire fino in fondo il lavoro fatto, ma comprendo che sarebbe potuto diventare troppo pesante da seguire.
Qualche tempo fa è stata annunciata una terza stagione. Più di recente Netflix ha deciso di mettere in pausa il progetto che aveva comunque avuto una buona risposta dalla critica. Attualmente ci sono alcune trattative per provare ad intavolare una terza ed ultima stagione. Il destino di questa serie è appeso ad un filo, ma se non dovesse procedere non sarebbe una perdita drammatica.