The Serpent: la recensione

Inquietante, disturbante, conturbante e un sacco di altre “ante”, questa serie merita d’essere vista anche solo per il fatto che è una (brutta) storia vera.

 

The Serpent

 

The Serpent è una miniserie di 8 episodi da cinquanta minuti l’uno (se po fà) che ripercorre la simpatica carriera di un truffatore e pluriomicida francese di origini indo-vietnamite di nome Charles Sobhraj. Per farvi capire di quale bel soggettino si parli, vi basti sapere che il titolo dell’opera altri non è che il suo soprannome, derivato dal modo viscido in cui aggirava e avvelenava le sue vittime. Inutile negare quanto sia affascinante fare un viaggio nella testa di uno che ha fatto secchi circa venti turisti occidentali sul sentiero hippie del continente asiatico. Uno che, come afferma in prima persona nel primo fotogramma della serie, vent’anni dopo ancora l’aveva fatta franca.

Nella sua gelida follia omicida, Carletto il principe dei Mostri fa fuori anche una coppia di olandesini e la cosa non va a genio a Herman Knippenberg (l’attore Billy Howle), che pur essendo solo un funzionario d’ambasciata e non un detective, gli si attacca comunque ai maroni nel tentativo di stanarlo e da là inizia un tira e molla divertente a livello narrativo. Un po’ Lupin vs Zenigata è un braccio di ferro tra gente che muore in un fazzoletto di tempo e colpi di scena niente male.

Puntata dopo puntata finisci col domandarti perché il serpentello morda tanto e da dove provenga la sua cazzimma. In conclusione, non tutte le risposte possono essere convincenti ma convince di certo la gloriosa ricostruzione di costumi e location degli anni settanta tra figli dei fiori storditi, santoni incensati e droga per colazione. In fondo è un po’ come vedere un documentario del periodo tra Nepal, Thailandia e Vietnam ma con un filino di sangue in più.

 

The Serpent

 

Menzione speciale merita il protagonista Tahar Rahim, braverrimo ma con un piccolo grande neo per i romani che vedranno questa storia: con quei capelli e con quegli occhialoni è praticamente indistinguibile da Antonello Venditti. Ogni minuto temevo di vederlo al pianoforte seduto accanto a Corrado Guzzanti ad intonare “Roma”.

Preoccupanti somiglianze a parte, questo è uno dei titoli dell’anno per pathos e originalità. Verso la terza puntata il treno narrativo rallenta forte e rischia il deragliamento ma, superato lo snodo, la corsa fila sempre più liscia fino ad un finale super azzeccato.

Dopo poche ore di visione non accetterete mai più un drink neanche da vostra madre. Chissà che dietro a questa bella opera non ci sia la lobby delle borracce termiche. Indagherò.

 

The Serpent, 2021
Voto: 8

 

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