Incastrati: la recensione

Ladies and gentlemen, la versione italiana di Only Murders In The Building è servita. E la Sicilia è più bella di New York!

 

Incastrati

 

Fino a questo momento le serie Made in Italy sono state peggio della pizza con l’ananas, ad eccezione di quella di Zerocalcare che però era in animazione: Claudio Bisio tragico, Carlo Verdone vergognoso, Baby e Zero deprimenti. Ficarra e Picone, invece, invertono il trend scrivendo e dirigendo in prima persona un prodotto piacevolissimo e col giusto equilibrio tra cazzeggio e crime. Ecco perché questi sei episodi da circa mezz’ora l’uno, usciti su Netflix, sono paragonabili all’opera più recente di Steve Martin. C’è umorismo nero e nella penisola questo vale doppio perché il cinismo è spesso poco capito dalle associazioni nazionali dei bigotti.

Il plot è semplice. Salvo è ossessionato dalle serie TV e Valentino (sì, hanno tenuto i loro nomi veri) è un bamboccione che vive ancora con la madre. I due sono cognati, amici e colleghi di lavoro. A bordo del loro furgoncino, infatti, riparano elettrodomestici in giro per l’isola ma un giorno finiscono nel posto sbagliato al momento sbagliato: la casa di un uomo legato alla mafia appena freddato da un assassino. Incastrati per un crimine orrendo, come mettere la pancetta nella carbonara… come recita con efficacia la cartellonista del lancio nazionale di questo titolo.

La cosa sconvolgente della serie è che le battute fanno ridere! Una sensazione nuova che avevamo perso negli ultimi anni con i nostri comici. In più le peripezie dei due per non finire nella morsa del destino sono avvincenti. Chi ha fatto secco Gambino? La mamma di Valentino? La moglie di Salvo? L’amico giornalista che sogna il ritorno delle guerre tra cosche per avere più notizie? Lo si scopre soltanto alla fine con un grosso “Ohhhhh”, che non è quello dei bambini di Povia (per fortuna).

Il cast è tutto rigorosamente siculo. C’è la modella un po’ androgina Marianna Di Martino, la burrosa Anna Favella, l’istrionico Sergio Friscia, Domenico Centamore e Filippo Luna e i due immancabili della fiction di genere: Tony Sperandeo e Leo Gullotta. Roba da far leccare i baffi anche a Francis Ford Coppola. L’uso del dialetto, tanto discusso sull’opera romana di Zerocalcare, non è affatto fastidioso e si capisce perfettamente. Ma non siamo milanesi, per cui la polemica potrebbe essere dietro l’angolo.

 

Incastrati

 

Il vero colpo di classe di Incastrati, però, è come si racconta la Mafia. La perculata è clamorosa ma sottile. I cattivi non sono cattivi mai, anzi fanno ridere per quanto sono goffi e zotici. Non solo. Sono anche stati spogliati dai lussi e dalle ricchezze in cui i vari Scarface ci avevano abituato a stare. Poveri, sfigati e poco considerati da tutti, i ragazzi di Cosa Nostra devono fare un secondo lavoro per mantenersi e decidono fatti criminosi su Zoom perché non hanno neanche una sede ufficiale. Rispetto a tanti documentari moralistici che poco arrivano ai giovani, questa via è geniale: si spiega allo spettatore, tra una risata e uno sfottò, che quella strada la prendono solo i perdenti. E ciò che non è mostrato come desiderabile, poi, non è desiderato davvero.

La prima stagione si chiude col botto, preannunciando un seguito che già in molti attendono. Ficarra e Picone hanno rischiato di rimanere impaludati nell’umorismo trito e ritrito del bancone di Striscia La Notizia ma, con un colpo di coda, si sono staccati dal fango per puntare alla leggerezza delle nuvole. Adesso, però, qualcuno produca The Touch Of The Killer… ci avete fatto incuriosire.

 

Incastrati, 2022

Voto: 7

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