La lotta per la Presidenza della Repubblica

Vi spieghiamo perché scegliere il Presidente della Repubblica è strategico per il futuro dell’Italia oggi più che mai. Quali sono i retroscena?

 

 

Fra un paio di settimane verrà effettuata la prima votazione per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Mattarella, che ha annunciato di non essere disponibile a proseguire la sua esperienza, lascia al suo sostituto una situazione certamente non semplice: quella di gestire un paese da decenni sotto scacco dell’Unione Europea e governato quasi ininterrottamente dal Partito Democratico, che nonostante la sua debolezza rappresentativa nel paese è riuscito ad imporre un’agenda politica fortemente ideologica e non rispecchiante il volere dei più.

D’altra parte, è anche vero che Unione Europea e Partito Democratico sono un binomio solido; interessate più a tutelare gli interessi dei gruppi di potere finanziari, le due entità hanno fatto in modo che l’Italia fosse governata in modo extra-democratico. È proprio grazie alle loro azioni che sono sorti in tutta Europa movimenti spontanei o semi-spontanei che hanno scosso le fondamenta del vecchio continente; in Italia il Movimento 5 Stelle, nonostante il suo fallimento dopo la morte di Casaleggio, aveva tutte le premesse per dare una svolta alla nostra nazione.

La partita della rielezione del Presidente della Repubblica si gioca sullo stesso campo internazionale, ed è tutt’altro che un affare tutto italiano.
C’è una volontà ben determinata nel voler legare con la forza i movimenti patriottici che vogliono far tornare centrali i propri paesi nella vita dei rispettivi cittadini; lo si vede con la Polonia e l’Ungheria, le nazioni più rappresentative di questa forte identità nazionale che secondo i burocrati europeisti va spezzata con le buone o con le cattive (salvo far scendere un ipocrita silenzio quando va impedito ad una massa di immigrati di raggiungere la Germania).

L’Italia in questo contesto è un paese chiave. Dopo l’addio della Gran Bretagna all’UE siamo tornati ad essere la terza potenza economica della federazione, nonostante la pessima gestione dell’economia e l’assurdo livello di tassazione che lo Stato impone. Siamo ancora in grado di mettere una voce forte sulle politiche dell’Unione Europea, come ha dimostrato Draghi in questi mesi.
Al contrario dei vari politicanti che lo hanno preceduto, Draghi infatti non ha avuto remore ad andare contro l’establishment europeo di cui ha sempre fatto parte e che,ad onor del vero, ha ripetutamente contestato in materia economica.

Ed è questa dimostrazione, unita al futuro della cultura italiana, che rende questa elezione ancora più fondamentale. Di scenari ce ne sono diversi, e sembrano quasi tutti indicare la prosecuzione di una politica che mette l’Italia e gli italiani indigeni in secondo piano.

 

 

Mattarella, pur rimanendo nell’ambito costituzionale, ha impedito che le camere rispecchiassero il volere politico del popolo italiano. Dal 2018 ad oggi gli italiani hanno dimostrato di voler un radicale cambiamento, ma i numeri parlamentari sono ancora tutti dalla parte della sinistra. Le scelte di Mattarella sono state (indirettamente, nel migliore dei casi) funzionali a tutelare la posizione del Partito Democratico, che se si andagge oggi alle elezioni conterebbe molti meno parlamentari; ed ancora meno ne avrebbero i 5 Stelle, loro alleati.

Non è quindi un caso che finora i nomi a cui si è fatto riferimento per il nuovo Presidente siano stati proprio quelli di Mattarella e di Draghi. Il primo come detto ha già annunciato di non essere disponibile, mentre il secondo ha fatto sottointendere di essere a disposizione dopo aver tracciato la via delle riforme e della gestione economica del paese durante il suo periodo di Presidente del Consiglio.

 

 

Draghi sarebbe una figura perfetta, apparentemente: gradita all’Unione Europea e dialogante sia con la sinistra che con il centrodestra italiano; ed è probabilmente in questo scenario che Renzi, con la sua piccola pattuglia di deputati, sembra in procinto di saltare il fosso e centrare un’alleanza temporanea con Forza Italia, per spingere i partiti di governo a supportare Draghi.
Si potrebbe pensare ad un conseguente scioglimento immediato delle camere che porterebbe ad elezioni, anticipando di circa un anno il mandato teorico degli eletti; anche ammesso che questo avvenga, è difficile che il prossimo Presidente del Consiglio non appartenga all’area europeista, a prescindere dall’esito delle elezioni stesse.

 

 

Draghi non vede di buon occhio Salvini, e tanto meno Giorgia Meloni; i due veri leader della destra nazionale hanno danneggiato la loro reputazione, il primo con posizioni quanto meno rivedibili in merito alla gestione della pandemia, la seconda con attacchi talvolta strumentali nell’ultimo anno di opposizione. Ammesso che la destra vincesse le elezioni (e sta facendo di tutto per perderle), questo aprirebbe le porte ad un governo che fa riferimento ad una figura moderata, diretto da un esponente di Forza Italia o del partito di Renzi supportato dalle altre forze di destra.
La differenza è sostanziale: Berlusconi e Renzi hanno sposato le tesi europeiste, al contrario di Salvini (in crisi nera all’interno del partito) e della Meloni.
Draghi consentirebbe anche la creazione di un governo di centrosinistra come il Conte bis, nel sempre più possibile caso in cui la destra completi il suo suicidio politico consegnando l’Italia nuovamente nelle mani di PD e M5S.

 

 

Di alternative ufficiali non ce ne sono. Berlusconi si è candidato, ma è oggettivamente impresentabile per i suoi trascorsi e non sarebbe un elemento di neutralità (ma risalendo fino al 1978, solo Pertini e Ciampi lo sono veramente stati). Altri nomi sono stati inizialmente fatti, come quello del Presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati, una figura apprezzabile da entrambi gli schieramenti; ma è anche vero che spesso in passato si è arrivati ad una elezione solo dopo duri confronti e scelte di compromesso, e proprio per questo motivo i nomi proposti in prima battuta sono stati bruciati. Potrebbe essere letta in quest’ottica la candidatura di Berlusconi, proprio per supportare la Casellati in un secondo tempo.

Ad ogni modo, al momento non c’è molto da fare se non aspettare e osservare. E soprattutto sperare che dopo vent’anni di gestione completamente piegata ai voleri dell’Unione Europea, in Italia torni a spirare un vento che ricordi chi siamo e da dove veniamo; ed il primo passo sarebbe un Presidente filo-italiano.

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