Migliaia di soldati statunitensi vengono inviati ad Archangelsk ad assistere le forze europee impegnate nell’intervento in Russia del 1918-1919.
A partire dal Novembre 1917, la posizione della Russia nell’Intesa, e più in generale all’interno del primo conflitto mondiale, si aggrava di non poco. La rapida presa di potere da parte dei bolscevichi, con la conseguente pace separata siglata coi tedeschi pochi mesi dopo, mette in allarme i vecchi alleati dei russi. Inglesi, francesi e statunitensi si consultano incessantemente per trovare la migliore e la più rapida via per riaprire il fronte a est contro i tedeschi e gli austro-ungarici e, allo stesso tempo, debellare la sempre più pericolosa minaccia rossa.
Nell’estate del 1918, cedendo alle pressanti richieste degli alleati, in primis quelle della Gran Bretagna, il presidente degli USA, Woodrow Wilson, accetta di partecipare all’intervento anglo-americano nel porto russo di Archangelsk. I britannici, infatti, vogliono usare le principali città e porti del nord della Russia, tra le quali anche Murmansk, per penetrare in armi verso il centro e il sud del paese, unendo le forze con le unità russe anticomuniste, i russi “bianchi”, vogliose di riprendere la lotta alle Potenze Centrali una volta sistemate le faccende di casa. Un corpo di 5000 truppe statunitensi viene fatto sbarcare ad Archangelsk, con l’ordine di proteggere i grossi depositi militari dell’Intesa; altri 8000 soldati vengono inviati nell’Estremo Oriente, nel protettorato Alleato di Vladivostok, per assicurare una buona riuscita dell’evacuazione della Legione Cecoslovacca, impegnata in feroci combattimenti lungo la Transiberiana.
Le truppe impiegate nel settore di Archangelsk, alle direttive del Colonnello Stuart, sono composte da tre battaglioni del 339° Reggimento Infanteria, reclutato appositamente nella città di Detroit (città nota per gli inverni molto freddi), accompagnate da unità di medici e ingegneri. Appena sbarcato, il corpo di spedizione statunitense si unisce alle diverse migliaia di britannici e francesi che controllano una vasta area perlopiù desolata e gelida. La situazione sul campo appare da subito più difficile che sulla carta: il corpo americano ricade sotto il comando dell’alleato britannico, deciso, a differenza degli amici americani, a debellare con la forza i bolscevichi. I battaglioni statunitensi vedono i primi combattimenti nelle settimane successive allo sbarco, lungo la linea ferroviaria che collega il porto di Archangelsk alla città di Volgoda e nei pressi del grande fiume Dvina.
Il giorno dell’armistizio in Europa, l’11 Novembre 1918, le truppe della spedizione sono impiegate in una feroce battaglia nei pressi del villaggio di Tulgas. I bolscevichi vengono respinti perdendo molti uomini, ma la fine del conflitto in Europa pone un problema diplomatico non indifferente: se la minaccia tedesca è stata neutralizzata, per cosa combattono adesso gli eserciti alleati in Russia? Mentre i politici disquisiscono la questione russa nei salotti europei, gli americani si preparano ad affrontare il primo gelido inverno russo. Nel gennaio del 1919, le posizioni avanzate degli Alleati, circa 200km a sud di Archangelsk, vengono attaccate a sorpresa dalla 6° Armata bolscevica. Le terribili condizioni metereologiche, con -30°C e neve alta più di un metro, e lo scarso appoggio delle artiglierie in mano ai russi bianchi, costringono i reparti alleati ad una generale ritirata su linee difensive più vicine al porto russo. Sul finire dell’inverno entrambi gli schieramenti tentano rinnovate offensive che si infrangono senza importanti conquiste territoriali, e i combattimenti si fermano in attesa della primavera.
Con la Prima Guerra Mondiale ormai conclusa ufficialmente da diversi mesi, le pressioni dei media americani unite a quelle dei familiari delle truppe in Russia si fanno sempre più vivaci. La società civile richiede con sempre più insistenza il ritiro del contingente e la fine dell’intromissione negli affari interni di un paese così lontano. Anche il morale, non solo delle truppe americane ma di tutte quelle presenti nel nord della Russia, è in caduta libera. Non mancano infatti casi di ammutinamento tra francesi, britannici e tra gli stessi americani, alcuni dei quali iniziano a simpatizzare per la causa bolscevica.
Il presidente Wilson prende la decisione di evacuare le truppe, inviando ad Archangelsk, nel mese di Aprile, il Generale di brigata Richardson per coordinare l’evacuazione. Entro il mese di Agosto le ultime unità salpano dal porto russo, sancendo la fine dell’intervento americano almeno in questo settore dato che le truppe presenti a Vladivostok, dall’altra parte della Russia, rimangono per ancora molti mesi.
La campagna si conclude con 218 militari statunitensi morti, in parte uccisi dalle malattie e non dalle baionette e pallottole bolsceviche, e oltre 300 feriti. Il morale è spezzato e un generale senso di confusione accompagna le truppe evacuate: per cosa hanno combattuto e come hanno beneficiato le potenze alleate di questo intervento destinato al fallimento fin dall’inizio? Mentre le ultime navi accompagnano i soldati statunitensi fuori dalla baia di Archangelsk, migliaia di truppe britanniche vengono fatte sbarcare per sostituirle, assicurando la continuità di un intervento alleato in Russia presto destinato a fallire miseramente.