Mi Manda Picone: la recensione

A distanza di quarant’anni, Mi Manda Picone è una pellicola ancora attualissima e che mostra in forma caricaturale la realtà del mondo napoletano.

 

 

Negli anni ’70 e ’80 la cinematografia italiana era estremamente viva e capace di portare critiche sagaci alla società del tempo. Film come C’Eravamo Tanto Amati, Il… Belpaese o Cercasi Gesù sono stati, con diversi gradi di efficacia, capaci di raccontare sotto forma di commedia vizi ed ipocrise dell’Italia di quell’epoca. Mi Manda Picone è un altro di questi film: diretto, incontestabile, e per questo lentamente sparito dagli schermi televisivi.

Mi Manda Picone è la storia surreale ma fin troppo veritiera di una madre di famiglia il cui marito, per protestare contro i licenziamenti in corso all’Italsider (il famoso stabilimento siderurgico di Bagnoli dismesso definitivamente nel 1992), si dà fuoco durante un dibattito tenuto in un affollato pubblico ufficio. Qui inizia un odissea che la porta, grazie soprattutto al fortuito incontro con un saltimbanco che tenta in qualche modo di sbarcare il lunario, a scoprire un mondo di illeciti che avviluppa Napoli in una morsa terrificante, eppure al tempo stesso naturale per chi ci vive.

 

 

La storia è semplicemente geniale. Attraverso una serie di incontri e di colpi di scena congeniati ad arte, il regista Nanni Loy (Audace Colpo Dei Soliti Ignoti, Le Quattro Giornate Di Napoli, Detenuto In Attesa Di Giudizio) tratteggia una Napoli perduta, dove lo Stato è presente solo come polverosa infrastruttura non funzionante, e dove la malavita e il sotterfugio sono il vero quotidiano dei locali. La condanna verso questi atteggiamenti è evidente, ma Nanni Loy non punta esclusivamente il dito contro chi sceglie la strada del crimine o dell’arrangiarsi, ma anche contro le fumose e farraginose istituzioni che, anche per la natura dei napoletani, di funzionare proprio non sono in grado.

I due protagonisti sono Lina Sastri (Ecce Bombo, I Paladini: Storia D’Armi E D’Amori, Baaria), bravissima ad impersonare un personaggio vulcanico ma che in alcuni frangenti risulta un pelo troppo costruito, ed un Giancarlo Giannini (Mimì Metallurgico Ferito Nell’Onore, Travolti Da Un Insolito Destino Nell’Azzurro Mare D’Agosto, Pasqualino Settebellezze, I Banchieri Di Dio) strepitoso nell’impersonare una macchietta al tempo stesso simpatica e infida, altruista ma della quale non ci si può fidare. Grazie a loro e ad una storia assolutamente magnetica le due ore di proiezione scorrono fluide e veloci, tanto che addirittura arrivati al finale ci si dispiace che il film sia terminato.
I due compongono una coppia scoppiettante, uno la spalla dell’altro in un perfetto bilanciamento dove, se Giannini spicca di più, la figura di Lina Sastri è comunque assolutamente rilevante.
Accanto a loro troviamo in ruoli destinati ad avere pochi minuti di visibilità attori apprezzati come Aldo Giuffrè e Carlo Croccolo, Leo Gullotta e addirittura un Remo Remotti che recita con un dialetto napoletano assolutamente credibile.

 

 

I punti deboli di Mi Manda Picone sono sicuramente la fotografia, non tanto per le inquadrature quanto per la qualità generale della produzione del film (spesso le opere di Nanni Loy hanno sofferto in questo senso), e l’ovvio uso del napoletano, che in taluni frangenti può essere difficile da comprendere.
Ma questi aspetti al tempo stesso rafforzano il fascino di Mi Manda Picone, una pellicola che fa sorridere ed al tempo stesso ha un sottotesto molto amaro, e che se dipingeva a perfezione la Napoli degli anni ’80, spiega molto della Napoli di oggi.

 

Mi Manda Picone, 1983
Voto: 8
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