Russia, Aghanistan, Cina, Ucraina: l’incapacità di gestire le situazioni da parte del presidente USA sono la miccia di una bomba pronta ad esplodere.
Con una serie di gaffe e scelte tutt’altro che logiche, Joe Biden ha creato tutti i presupposti per mettere in crisi le diplomazie e gli alleati occidentali e di fatto far tornare qualcosa di spaventoso che da trent’anni avevamo pensato di esserci lasciati alle spalle: la guerra fredda.
Nel suo anno e mezzo di mandato, Joe Biden ed il suo entourage sono stati in grado di sbagliare clamorosamente qualsiasi mossa nelle relazioni con l’estero. In una delle sue primissime uscite pubbliche da Presidente, ha dichiarato: “Putin è un killer” e “ha tentato di influenzare le elezioni, sia preparato“. Due dichiarazioni legittime da tenere all’interno del proprio circolo interno, ma folli da rilasciare ad una tv. Correva il giugno 2021, e Biden in quel momento ha innescato un meccanismo di cui oggi vediamo gli effetti e di cui parleremo poco più avanti.
Biden, che si era proposto come figura in grado di riunificare una società statunitense completamente spaccata, e che in realtà non ha fatto altro che esacerbare gli animi internamente, ha continuato poi a commettere errori strategici di altissima rilevanza a partire dal ritiro delle truppe dall’Afghanistan, un’azione effettuata in modo frettoloso e senza una reale pianificazione, ignorando completamente gli alti vertici militari che ne prevedevano il fallimento (vertici in parte sostituiti dopo la loro resistenza) e consegnando drammaticamente il paese in mano ai Talebani in meno di una settimana. Un’azione che ha vanificato dieci anni di impegno internazionale, con migliaia di vite ed una quantità di denaro incalcolabile sprecate per una scelta irrazionale e completamente ideologica.
D’altro canto, l’immobilismo di Biden sulla Cina spaventa. Se da un lato lo stato asiatico è diventato il principale paese manufatturiero al mondo grazie al suo modello economico ed al basso costo dei prodotti finiti, ottenuto a scapito della sicurezza di lavoratori e prodotti, dall’altro sta allungando le sue mani sui territori che finora godevano di una certa autonomia: Hong Kong in primis, ma anche l’indipendente Taiwan, nazione dove hanno sede la maggior parte delle industrie che producono chip per l’informatica e che in questi giorni è costantemente sorvolata da aerei militari cinesi che sfidano le forze armate di Taipei e degli alleati statunitensi. A questo si aggiunge la sempre più invadente presenza gialla in Africa, specie nei territori con ricchi giacimenti di minerali preziosi, ed in altre zone dove avvengono conflitti interni (il caso del Kazakistan è solo l’ultimo in ordine di tempo).
L’assoluto immobilismo della politica americana denota una volta di più come manchi una strategia in grado non solo di contenere una superpotenza con la quale non si può dialogare, ma anche di assicurare la continuità del supporto degli alleati storici, visto che in Asia ed in Medio Oriente (ma anche in Europa) sono diverse le nazioni che iniziano a vedere la Cina come il nuovo partner di riferimento.
Rimane poi il discorso ucraino, del quale abbiamo recentemente trattato. Il problema è scottante, ed il suo esito è assolutamente in bilico. Mentre esiste una possibilità di un degrado della situazione tale da poter portare ad uno scontro fra USA e Russia, con conseguenze inimmaginabili, l’arrogante e pericolosissima politica statunitense ed la passività europea hanno creato una tensione che solo un anno fa era impensabile; il tanto vituperato Trump, nonostante i suoi discutibili comportamenti, era riuscito infatti a smorzare i toni già resi incandescenti da Obama sul finire del suo mandato e a riportare le relazioni fra USA e Russia in un alveo di pacifica convivenza.
Il fatto che Biden e i suoi si siano cacciati in un guaio troppo grande per la loro capacità di gestione è dimostrato anche dalla recente affermazione del Presidente americano: “gli USA non tollereranno un’invasione russa in Ucraina, fatte salve locali incursioni“. Un’affermazione contraddittoria e che ha suscitato immediate reazioni sia del Presidente Ucraino Zelenskyj che dei principali alleati NATO che hanno costretto Biden ad un immediato e goffo dietro-front, ma che nei fatti sancisce il caos che regna dell’establishment statunitense e che sta permettendo a Putin di allargare il numero di richieste sul tavolo, come quella ingiustificata ed irricevibile di far uscire Romania e Bulgaria dalla NATO.
Difficile pensare che Biden sia in grado di gestire il futuro degli USA; il rischio è che porti l’intero mondo sull’orlo di un conflitto globale. Cosa che, a volerla dire tutta, è già dietro l’angolo.
A voler fare una previsione, è possibile che fra i vertici russi e statunitensi vengano stretti accordi sottobanco che scongiurino le conseguenze più gravi dell’attuale crisi e che permetta ad entrambe le superpotenze di uscire senza perdere completamente la faccia, e che nel medio termine Biden venga nei fatti estromesso dalla stanza dei bottoni. L’annunciata sconfitta democratica alle imminenti elezioni di mid-term potrebbe proprio iniziare questo processo di rinnovamento all’interno della Casa Bianca.