È giusto doppiare e proporre Bleach ad anni di distanza dal suo momento di massimo risalto mediatico? Può davvero ancora dare qualcosa allo spettatore?
Con l’uscita della sesta, settima, ottava e nona stagione, è tornato prepotentemente alla ribalta uno dei famosi “Big 3” che hanno dominato il palcoscenico internazionale. La mia generazione è cresciuta guardando i cartoni animati giapponesi; il primo vero lavoro che ha conquistato, anche in Italia, sia i lettori di fumetti che i telespettatori è stato Dragon Ball.
Dopo di lui sono arrivati svariati altri lavori che hanno avuto alterni successi editoriali e televisivi. In tre sono riusciti ad aprirsi la strada verso l’occidente ed a proporsi nel panorama internazionale. “Big 3” è di fatti un titolo assegnato dagli occidentali ai tre manga, poi trasposti in anime, One Piece, Naruto e Bleach, che hanno conquistato e dominato le classifiche di vendita ed i palinsesti televisivi.
One Piece, che non si è ancora concluso, è sicuramente il lavoro più longevo e di successo dei tre; Naruto ha vissuto il suo tempo combattendo quasi ad armi pari con il suo rivale dal cappello di paglia; mentre Bleach è rimasto leggermente indietro e, soprattutto in Italia, non è stato proposto come meritava all’attenzione del grande pubblico televisivo.
La decisione di doppiare Bleach e riproporlo al pubblico è stata dettata sicuramente dalla scelta di completare la trasposizione animata lasciata in sospeso nel 2012. Dieci anni che hanno totalmente spento le speranze dei fan, ma che ora accendono grande entusiasmo e molta attesa. Sfruttare questa spinta mediatica è sicuramente un buon trampolino per rilanciare la serie, ma si tratta pur sempre di una proposta che ha qualche anno. È giusto chiedersi se la scelta sia saggia…
In Giappone la prima stagione della serie animata di Bleach venne trasmessa nel lontano 2004, e la sedicesima si concluse nel 2012; noi invece siamo ancora in attesa di poter assistere al doppiaggio di metà delle stagioni. Forse un po’ tardi per riproporre un lavoro che ormai ha qualche annetto sulle spalle? Secondo me no, ed andiamo anche a scoprire il perché.
Bleach è un lavoro che basa la sua fortuna non solo sul suo protagonista cardine Ichigo Kurosaki, ma anche su un caleidoscopio di personaggi che lo affiancano e lo contrastano. Un così nutrito stuolo di personalità crea varietà, dualità, intrecci emotivi e spunti interessanti. Di contro, un così vasto numero di personaggi, che ritorna ciclicamente durante l’arco delle stagioni, può anche rendere difficile seguire la storia. Per fortuna Bleach è un racconto piuttosto lineare e quindi non c’è il rischio di perdersi in complicate riflessioni su particolari misteri nella trama.
Ichigo Kurosaki è il classico ragazzo dal cuore d’oro e dall’aurea truce. Si distingue per la sua capigliatura arancione, per essere un po’ tonto, molto testardo e sempre pronto a fare la cosa giusta anche a costo di rimetterci l’osso del collo. Tite Kubo, l’autore di Bleach, è riuscito a sintetizzare quello che una buona parte dei ragazzi di quel periodo poteva apprezzare o ammirare; per tutto il resto ha creato una grande varietà di personaggi che potessero catturare il gradimento e l’attenzione del pubblico.
L’autore è riuscito a sfruttare le figure mitologiche degli Shinigami, ovvero la versione giapponese del nostro cupo mietitore, per creare un mondo spirituale nel quale far interagire i personaggi. Da questo spunto crea delle specie di “Samurai” vestiti in abiti tradizionali neri, che impugnano le loro Katane per sconfiggere e purificare gli Hollow: mostri che nascono dagli spiriti dei defunti che non trovano pace.
Tite Kubo ha ammesso candidamente di essersi ispirato ai Cavalieri Dello Zodiaco che aveva adorato da bambino. Ecco perché gli scontri e lo spirito di sacrificio che trasudano dalle tavole del suo lavoro sono così familiari a noi che abbiamo potuto ammirare entrambe le serie. Io invece noto anche una certa affinità tra le storie ed i protagonisti di Bleach e Yu Degli Spettri; affinità che non è solo legata alla tematica spirituale che i due lavori hanno in comune.
Se il manga curato da Tite Kubo ha continuato a migliorare sotto l’aspetto grafico, la stessa cosa non si può dire per le serie animate. Alcune stagioni non sono graficamente all’altezza e non eccellono nell’animazione dei personaggi. Un lavoro principalmente dettato dalla fretta di soddisfare il mercato esigente? Probabilmente sì! È una cosa che mi è già capitato di notare in altri lavori che ho recensito, come ad esempio in Seven Deadly Sins. Questa mancanza di qualità nell’animazione di alcune stagioni però non riesce a compromettere più di tanto il lavoro fatto da Tite Kubo.
One Piece, Naruto e Bleach sono sicuramente un punto di riferimento importante per le nuove generazioni che cominciano a proporre valide alternative tanto da mettersi in diretta competizione con i “Big 3”. È impossibile ignorare l’improvviso ed immediato successo di Demon Slayer che è schizzato in cima alle classifiche di gradimento di mezzo mondo, né tanto meno il grande clamore mediatico che sta seguendo l’ultima stagione di Attack On Titan. Eppure il vero avversario di Bleach è quasi sicuramente Jujutsu Kaisen, un manga dai tratti sicuramente più cupi e violenti ma che rientra nello stesso campo spirituale, che inesorabilmente continua a macinare gradimento e conquistare pubblico.
Azione, combattimenti, una vasta scelta di personaggi con cui simpatizzare e l’ispirazione ad un prodotto iconico del calibro dei Cavalieri Dello Zodiaco, rendono Bleach un lavoro dalle credenziali più che valide per essere visto ed apprezzato. Conoscere Bleach è quindi un passo importante per poter anche valutare al meglio le nuove proposte e capirne il vero potenziale. Anche se in ritardo di svariati anni, è giusto recuperare e proporre al grande pubblico questo lavoro che ha contribuito a rendere i manga e l’animazione giapponese prodotti di livello internazionale.