Il Regista Nudo: la recensione

Il mondo si divide in chi ha visto Il Regista Nudo e chi no. I secondi sono molti? La sessualità spaventa ancora.

 

Il regista Nudo

 

Il Regista Nudo (The Naked Director) non se l’è praticamente cagato nessuno in Italia. Nel catalogo Netflix se ne sta zitto zitto in sordina e l’arrivo della seconda stagione fa felice pochi, quelli che hanno capito quanto possa dare la storia raccontata da Masaharu Take su temi poco battuti come la sfera sessuale, il consumo di pornografia e l’emancipazione delle donne. In pratica una summa delle paure più recondite del Vaticano ma con più figa!

Non si grida al miracolo, sia chiaro. Ci sono tanti (troppi) riferimenti legati alla cultura giapponese che da noi sono poco comprensibili e la recitazione orientale risulta alquanto folcloristica (sembrano tutti degli anime umani sotto crack!). Ma in mezzo a tanta immondizia seriale (parafrasando Battiato), si tratta di due stagioni che non rubano tempo ma anzi divertono. Fanno biopic a buffo su tutti, pure su Pippo Franco: e allora perché mai non si doveva raccontare la vita di Toru Muranishi, il più famoso e geniale regista a luci rosse del Sol Levante?

Tratta dal romanzo biografico Zenra Kantoku Muranishi Toru Den (in italiano in La Leggenda Di Muranishi Toru, Il Regista Nudo) di Nobuhiro Motohashi, la serie narra le gesta di un mediocre venditore porta a porta di enciclopedie che si scopre un innovatore dei costumi giapponesi. Basti pensare che il suo (vero) soprannome, che dà appunto anche il titolo all’opera, è dovuto alla sua particolarità di indossare solo slip bianchi (orrendi) mentre riprende le scene di sesso esplicito. In realtà in Italia in molti girano in mutande ma dall’altra parte del mondo non conoscono le gioie della vita e fa più scena.

Pornazzo dopo pornazzo, il buon Muranishi sconvolge la moralità del suo paese e si scontra con la Yakuza che ha un’idea diversa della gestione della prostituzione. Non mancano scene che presentano una vena di follia tutta nipponica, ma di base siamo belli dentro al mondo crime-thriller con accenni al porno soft. Qualche tetta qua e là, alcune simulazioni di fellatio e svariate chiappe in primo piano per una narrazione “colorita” che non guasta mai dopo una giornata di lavoro passata a fissare lo schermo del computer.

 

Il regista Nudo

 

Se la prima stagione attraversa tutti gli anni ottanta (e la loro opulenza), la seconda (uscita da poco) è tutta ambientata negli anni novanta. La narrazione, infatti, parte dal successo ormai conclamato della casa di produzione del regista nudo che deve accettare (e in fretta) che le videocassette stiano morendo e che la nuova sfida è la tv satellitare. Va anche considerato che, a differenza nostra, dalle parti di Tokyo, quel periodo è stato nominato “decennio perduto” a causa della recessione iniziata in seguito allo scoppio della bolla speculativa, per cui i soldi in giro sono sempre di meno.

Una delle ragioni per cui questo titolo non è molto amato da noi è che si crede sia una storia “non nostra”. Errore! I tabù scoperecci sono gli stessi e le gesta del regista nudo ricordano molto le imprese del mai troppo compianto Riccardo Schicchi. Che sia d’ispirazione per qualche sceneggiatore italiano.

 

Il Regista Nudo, 2019 e 2021
Voto: 6

 

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