Vivarium: la recensione

Pur non eccellendo in nulla, Vivarium riesce a colpire lo spettatore grazie a intuizioni in grado di generare ansia e tensione.

 

 

La cinematografia europea è spesso capace di presentare pellicole particolari, che se magari non possono ambire ad entrare nel Gotha del cinema internazionale, riescono ad ogni modo a presentare unicità tali da rendersi indispensabili agli occhi di un appassionato. È il caso di Vivarium, film a metà fra il thriller e la fantascienza uscito nel 2019 ad opera di Lorcan Finnegan (Without Name, Nocebo). Il regista irlandese riesce con pochi elementi a creare un film non perfetto ma sicuramente disturbante, lento ma coinvolgente, affascinante e che fa un ricorso minimo agli effetti speciali.

La storia vede una coppia di sposini cercare una nuova casa dove andare ad abitare; condotti da un inquietante agente immobiliare presso un nuovo lotto di abitazioni tipiche delle periferie anglosassoni, perdono la strada per tornare verso casa restando intrappolati in questo strano posto. L’evoluzione della trama è sicuramente lenta, legata ad un ritmo che vuole fare immergere lo spettatore in una progressiva discesa verso gli Inferi, un incubo psicologico e mentale che i due protagonisti andranno ad affrontare in modo diverso e con esiti imprevedibili.

 

 

Vivarium è un film quasi completamente privo di momenti d’azione, che punta tutto sulla claustrofobia causata da un ambiente al contempo vasto ma ristretto. In tal senso, non sempre le scelte dei protagonisti sembrano credibili: si notano, specialmente nella parte centrale del film, alcuni passaggi forzati o perlomeno trattati in modo troppo rapido. Magari se fosse stato concesso più tempo allo sviluppo della trama un occhio allenato a vedere i difetti avrebbe trovato in Vivarium un film dalle fondamenta totalmente solide; ma anche così il film di Lorcan Finnegan riesce a reggersi in piedi nonostante qualche passaggio più stentato.

Vivarium vede un cast numericamente assai ristretto, ma che schiera un paio di nomi interessanti nel ruolo di protagonisti: Jesse Eisenberg (The Village, The Hunting Party, Adventureland, Benvenuti a Zombieland, Solitary Man, The Social Network, Justice League) e Imogen Poots (V Per Vendetta, 28 Settimane Dopo, Solitary Man, Jane Eyre, Filth, Non Buttiamoci Giù, Quel Momento Imbarazzante) non sono nomi di forte richiamo al botteghino, ma sanno solitamente impreziosire le pellicole con la loro presenza. Dico solitamente perché in questo caso Jesse Eisenberg non risulta particolarmente incisivo forse per il fatto che il suo personaggio viene accennato e non approfondito come quello di Imogen Poots.
Accanto a loro troviamo esclusivamente Jonathan Aris, Senan Jennings ed Eanna Hardwicke, bravissimi nei loro ruoli assolutamente sui generis.

 

 

Vivarium è uno di quei film ai quali ci si avvicina con poche pretese, non aspettandosi molto e che, nonostante qualche aspetto un pelo ruvido, sono in grado di portare ampiamente a casa il risultato. Inoltre, è sorprendentemente in grado di invertire le dinamiche tipiche dei film di fantascienza meno riusciti: qui più si prosegue nella visione più si viene attratti da un mistero che non si sbroglia e che riserva sorprese sempre più drammatiche. Vivarium dà il meglio di sé proprio negli ultimi minuti di proiezione, quando la situazione esplode e si arriva ad un finale del quale si fa fatica a tenere il passo per la rapidità del susseguirsi degli eventi.

Vivarium non è certamente un capolavoro, ma è una di quelle pellicole che merita di essere vista perlomeno dagli appassionati del genere: grazie al suo stile particolare, è un film che non può non restare impresso nella mente dello spettatore.

 

Vivarium, 2019
Voto: 7
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