Se il titolo è strano, aspettate di vedere un film che si propone come lo Sliding Doors italiano ma si ripropone invece come il peperone.
Ci si chiede se davvero esista una sola anima gemella? Il personaggio di Luca è convinto di no e, per avvalorare la sua teoria, racconta la storia di quattro ragazzi che potrebbero diventare quattro possibili coppie diverse a seconda dei casi della vita. Dà i numeri il lavoro del regista Alessio Maria Federici che, su Netflix, esplora la vita di coppia attraverso concetti come il fato, il destino, l’attrazione e le infinite possibilità che la vita offre e al tempo stesso toglie. Dà i numeri ed è un delirio sotto tanti punti di vista. A partire dal cast…
Perché Ilenia Pastorelli è già diventata la macchietta di sé stessa. Geniale in Lo Chiamavano Jeeg Robot, ora sembra incastrata in un ruolo che chiaramente non è un ruolo ma la trasposizione cinematografica della bora che è. Come medico è credibile quanto il nano del Trono Di Spade in una squadra di NBA e, quando dovrebbe dare introspezione al personaggio esulando dalle tette, sfocia nel cabaret. La scena dell’autobus andrebbe studiata a Zelig. La meno peggio è Matilde Gioli che nell’esordio con Virzì ne Il Capitale Umano aveva ben figurato, ma ora deve assolutamente trovare qualcosa di livello se non vuole fare una brutta fine. È bella e non recita male, ma quando è mal diretta (e qua è mal diretta) non si salva. Stendiamo un velo pietoso su Matteo Martari e Giuseppe Maggio di cui non sentiremo parlare presto. Quello che affossa del tutto la crew è una sceneggiatura mal scritta.
L’idea di base era pure buona ma a voler mischiare le carte ci vuole talento e qua scarseggia. Si fa sempre tanta fatica a capire chi sta con chi in quel momento e, quando lo si capisce, si è già buttati in una situazione nuova. Il tutto, ovviamente, montato senza seguire una logica temporale, o perlomeno sensata. Ma questo non scopava con quell’altra? Ma mò sto figlio di chi è? Ma perché si baciano se avevano litigato? I dubbi sono tanti e tutti leciti, ma il più grande resta il capire chi ha deciso di dare soldi a questo lavoro.
Per capire quanto sia esile, basta un esempio. Una coppia va, senza prenotare, in un ristorante e non può entrare perché c’è un matrimonio. La sposa (sì, proprio la persona più importante di quel giorno), che non conosceva nessuno dei due, si ferma all’ingresso (perché?) e parla dieci minuti con loro (ariperchè?). Possibilità che questo avvenga nella vita reale? Tipo trovare la vita su Giove… zero.
Ma la chicca finale è già servita all’inizio. Queste possibili combinazioni di coppie sono raccontate da un’altra coppia ad un’altra coppia ancora diversa tipo “Una volta è successo che…” che è un espediente narrativo che non si usa dalla letteratura greca del ginnasio. Poi, alla fine, i quattro protagonisti dell’intreccio imboccano a casa con tutti questi in un’orgia di ovvietà da pornazzo anni ottanta.
La colpa di questo lungometraggio non è che è leggero, ma che fa proprio schifo. Piuttosto che guardarlo leggete un libro, videogiocate o fate l’amore. Tanto non vi potrà andare peggio di questi scappati di casa. Disastro!
Quattro Metà, 2022
Voto: 3