La crescente presenza e influenza straniera spinse il Giappone verso un periodo isolazionista durato più di 200 anni. Oggi questo periodo è conosciuto come Sakoku.
Dopo un lungo periodo di lotte intestine e guerre tra clan, il Giappone si stabilizza politicamente e socialmente con l’inizio dello Shogunato Tokugawa, nei primissimi anni del diciassettesimo secolo. Oltre alla rinnovata stabilità, il Giappone conosce per la prima volta una massiccia presenza straniera, principalmente composta da missionari e mercanti europei i quali si intromettono sempre di più negli affari interni della nazione. I missionari gesuiti convertono circa 300.000 giapponesi alla fede cristiana prima di venire ufficialmente banditi, mentre i mercanti, per lo più olandesi e inglesi, godono di grandi privilegi ancora fino agli anni venti del ‘600 grazie all’enorme influenza e capacità diplomatica di William Adams.
L’ingerenza straniera e la così vistosa diversità negli usi e nei costumi, affascinano e conquistano le gerarchie nipponiche le quali ne sfruttano anche conoscenze e tecnologie per rafforzare la propria posizione interna prima ed esterna poi, grazie al florido commercio con tutto il Sud-Est asiatico reso possibile da una flotta ammodernata e basata su modelli europei. L’enorme influenza degli stranieri, le continue ingerenze nella vita politica e sociale e non da meno in quella religiosa, hanno un effetto quasi unico nella storia moderna: la chiusura a riccio di una nazione intera.
Nel 1635 viene emanato l’Editto Sakoku, che nei fatti ufficializza l’inizio dell’isolazionismo giapponese che durerà più di duecento anni e che, almeno nell’atto orginale, a grandi linee prevede: la pena di morte per i giapponesi che abbandonano (o che tentano solamente) la madrepatria, l’abolizione del cattolicesimo con una conseguente persecuzione di tutti coloro decisi a seguire la nuova religione portata dai missionari portoghesi e spagnoli. Ultimo grande punto è proprio quello del divieto quasi assoluto di commerciare con le nazioni straniere. Quasi, perché in realtà il Giappone continua a mantenere alcuni vitali contatti e scambi che le permettono di acquisire non solo notizie dal resto del mondo ma anche tecnologia. E se il rapporto con portoghesi e spagnoli viene troncato di netto, quella con gli olandesi si mantiene in qualche modo viva: nell’area di Nagasaki infatti, una piccola base commerciale rimane attiva, con i commercianti europei isolati in una piccola area. Anche il commercio con la Cina passa attraverso piccolissime basi a Nagasaki mentre lo scambio con la Corea si ha sull’isola giapponese di Tsushima, posta a metà tra le due nazioni. Ci viene naturale pensare che la chiusura del Giappone alle ingerenze esterne e l’isolazionismo portato quasi all’estremo, possano aver avuto effetti devastanti sul paese da un punto di vista economico ma anche sociale e culturale. E invece questo periodo, durato fino alla metà dell’800, si è rivelato estremamente proficuo e prospero. La pace, derivata da un rafforzamento e dalla centralizzazione del potere ha permesso alle classi meno abbienti di prosperare nel loro piccolo mentre alle classi più elevate di esprimere l’agio attraverso forme culturali e artistiche, nonché attraverso l’architettura, la costruzione di innumerevoli templi e castelli. Le città si ingrandiscono enormemente, mentre la campagna conosce nuove tecniche e si dedica a una produzione capace tranquillamente di soddisfare i fabbisogni alimentari di circa trenta milioni di persone. Si può dire che questo periodo, durato circa duecento anni, ha rappresentato a tutti gli effetti il periodo d’oro del Giappone e ha posto le basi della nazione che oggi tutti conosciamo.
L’isolazionismo giapponese si conclude alla metà dell’800 quando alcune navi battenti bandiera statunitense entrano nella Baia di Tokyo e non levano l’ancora fino a quando i rappresentanti giapponesi non accettano di ricevere una lettera scritta direttamente dal Presidente degli Stati Uniti d’America. Veniva richiesta la possibilità di commerciare con il Giappone e dunque la fine dell’isolazionismo, e dava un anno di tempo per prendere una decisione, con la velata minaccia di ritornare con più navi e uomini e forzare l’accordo. I giapponesi alla fine accettano e firmano il primo trattato diplomatico con una nazione estera dopo più di duecento anni. È il 1854.
Nello stesso anno, un accordo simile viene chiuso anche con gli inglesi e nei successivi cinque anni, con quasi tutte le grandi potenze dell’epoca. Nonostante alcuni esponenti giapponesi fossero felici di aprirsi a nuove opportunità, gran parte della società non accetta l’apertura e sente questo come un’imposizione imperialista. La bolla isolazionista che però ha garantito al Giappone stabilità e prosperità è stata bucata e il nuovo mondo, le nuove idee e culture si fanno pian piano strada nel cuore e nelle menti dei giapponesi. Per chi visita il paese è possibile ancora cogliere le due anime, quella vecchia (per modo di dire) legata alle tradizioni, alla cultura autoctona e al passato e quella nuova, frenetica e tecnologica derivata dal contatto col nuovo mondo. Una simbiosi quasi perfetta, che affascina e incuriosisce.