Guerra e censura: la battaglia dell’informazione – L’occidente

Ieri abbiamo visto come la censura si stia abbattendo in Russia dall’inizio dell’invasione in Ucraina. Ma che succede in occidente?

 

 

Nella prima parte del nostro approfondimento abbiamo visto come la Russia sia in un batter d’occhio tornata ad essere uno Stato totalitario nel quale è impossibile avere una voce discordante da quella del regime. Ma cosa succede a casa nostra?

Qui occorre fare un passo indietro. Il mondo occidentale si pone come baluardo della democrazia, della libertà di pensiero e di parola; per questo motivo ogni decisione legata ad una restrizione sull’informazione è qualcosa che colpisce sempre profondamente. E stupisce sapere che in Europa i siti internet di due dei canali d’informazione russi più vicini al Cremlino non sono più raggiungibili. Su indicazione dell’Unione Europea, la connettività verso Russia Today e Sputnik è stata bloccata per impedire una “comunicazione tossica”.

 

 

La cosa apre necessariamente un dibattito. È lecito, sensato, giusto censurare i canali informativi russi? Ed ancora prima: siamo finiti senza accorgercene in guerra?
La risposta alla seconda domanda è probabilmente si: i nostri governanti non lo possono (per motivi strategici e militari) e non lo vogliono (per motivi sociali) dire, ma Europa e USA sono in guerra contro la Russia. È una guerra per procura, nella quale Putin ha fatto la prima mossa dopo gli atteggiamenti aggressivi della Nato nel corso degli ultimi quindici anni, ma che ora la Russia sta perdendo pur senza un diretto intervento delle truppe occidentali sul campo. La ferrea resistenza ucraina è ben corroborata dalle forniture di armi occidentali, molto più economiche e semplici da usare rispetto a carri armati ed aerei la cui fornitura comporterebbe un pericoloso salto in avanti sulla scala della tensione est-ovest; e le truppe russe si stanno dimostrando non all’altezza e di cadere preda di queste armi. A tal proposito, lo scenario che riteniamo più probabile a breve termine è quella di una penetrazione pressochè totale dell’esercito russo sul territorio ucraino che però sarà costantemente attaccato con tattiche di guerriglia mordi e fuggi che impedirà uno stabile controllo di Mosca su Kiev, fino a sancire una tregua dai termini tutt’altro che facili da ipotizzare.

 

 

 

Tornando alla nostra domanda (siamo in guerra?), è comprensibile da un certo punto di vista voler oscurare la voce del nemico; eppure questa è una contraddizione se si parla di democrazia. Occorrerebbe confutare quanto sostenuto dai canali russi coi fatti e con la ragione (cosa abbastanza facile, a questo punto), piuttosto che utilizzare una misura più adatta al regime dispotico al quale siamo contrapposti.

È anche vero che purtroppo l’avvento di internet ha spostato l’attenzione dell’opinione pubblica dalla sostanza del fatto alla spettacolarizzazione dell’evento, ed è questo alla base delle fortune dei social network. Questi ultimi hanno iniziato a nascondere i post ed i video di matrice russa: su Youtube, Twitter, Twitch, Instagram e Facebook è stata bloccata la monetizzazione di numerosi canali e pagine e la visibilità dei loro contenuti fortemente ostacolata.

 

 

Anche questa è una forma di censura; ma la gestione dei social media è un problema ben noto, che si è volutamente ignorato visto il legame fortissimo che i partiti progressisti hanno con queste piattaforme.
Addirittura, Facebook ha dato via libera a “messaggi d’odio contro la Russia”, cosa che, almeno in questa sede, dimostra come Meta sia una compagnia dalla doppia faccia, che utilizza il suo potere mediatico a seconda della convenienza e non seguendo dei valori assoluti.

La cosa ricorda molto la decisione unilaterale di Facebook di disattivare le pagine di Casapound e Forza Nuova, due entità politiche che comunque la si pensi fanno parte dell’arco costituzionale italiano e sono legalmente riconosciute; esistono strutture statali atte a vigliare su affermazioni e atti antisociali, e perlomeno per quanto riguarda i partiti politici o gli Stati sovrani dovrebbero essere queste a determinare visibilità o censura – e infatti, in tutto silenzio, Facebook è stata costretta a ridare voce alle due entità politiche italiane.

 

 

Sostanzialmente, per le piattaforme social si riafferma il problema legato all’utilizzo personalistico di strumenti che nei fatti sono diventati i principali veicoli d’informazione, e che come tali andrebbero regolati e non come prodotti privati scevri da obblighi di equilibrio ed imparzialità.

Ma più in generale, l’utilizzo della censura nel nostro lato della nuova cortina di ferro (lato del quale sono stra-fiero di trovarmi) è qualcosa di fortemente controverso e come spesso accade non ha una risposta univoca. Fino a che punto è giusto mettere il bavaglio al nemico? Fino a dove ci si può spingere, come nel nostro caso, mostrando le ipocrisie e le falsità raccontate dal mondo mainstream senza passare per collaborazionisti? E chi vigila che durante una campagna elettorale l’oppositore politico non venga zittito (come nel caso di Trump), causando scontri sociali, favorendo uno schieramento e dipingendo l’avversario (a torto o ragione) come il male assoluto? Chi ci assicura che la censura sia utilizzata a fin di bene ed in modo super partes?

Sono domande che non dovremmo dimenticare, nemmeno dopo che questo tristissimo capitolo di storia sarà chiuso. E nel frattempo non dimentichiamo chi abbiamo di fronte dall’altra parte della barricata.

 

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